San Marino. Sconvolgente! “Caso Titoli”, il teste Giuseppe Morganti: come per Asset Bank, da Bcsm, ”intento liquidatorio anche nei confronti di Carisp”. … di Enrico Lazzari

Enrico Lazzari

Abbiamo visto ieri (leggi qui), che nel luglio 2017, i decreti emanati dal governo AdessoSm -esecutivo fondato su un patto politico fra Repubblica Futura e l’allora Sinistra Socialista Democratica (oggi sciolta e confluita soprattutto in Libera)- “a sostegno del sistema bancario” sammarinese potrebbero essere stati scritti, nientemeno, che dal finanziere lucano Francesco Confuorti, oggi a processo con l’ipotesi di accusa che possa aver fatto pesanti pressini sui vertici di Banca centrale e, quindi, influito fortemente su delle scelte prettamente pertinenti alla stessa Bcsm e al governo.

Il “Caso Titoli”, comunque, è un procedimento giudiziario complesso. Che si collega in una sorta di filo rosso ad altri procedimenti in corso, tutti accomunati dall’identificazione di un preciso beneficiario finale di ogni azione alla base delle indagini e dei rinvii a giudizio: Banca Cis!

Quel che ci interessa ora, però, è solo il “500”, imbastito, oltre che sull’ipotesi di pressioni che Confuorti avrebbe fatto a Bcsm e, più o meno direttamente all’esecutivo AdessoSm, sulla vendita a Bcsm di circa 43 milioni di euro di titoli obbligazionari procurando un danno a Banca Centrale che il consulente incaricato dalla parte civile, Pietro Aicardi, ha quantificato in 2 milioni e 300 euro nel corso dell’ultima udienza (leggi qui).

Dunque, il processo a carico di Daniele Guidi, Direttore generale di Banca Cis, già condannato il primo grado per la vicenda dei fondi Iss, di Francesco Confuorti, di Lorenzo Savorelli, ex direttore generale di Bcsm, di  Filippo Siotto, membro del Coovig di Bcsm, Mirella Sommella, Emidio Gianatti, Marco Mularoni, Ugo Granata, Roberto Venturini, Raffaele Mazzeo e Roberto Moretti, va avanti e ha riservato più di una sorpresa.

Sorprese come quanto emerso, fra l’altro, dalla testimonianza rilasciata il 25 gennaio scorso da Giuseppe Morganti (all’epoca dei fatti capogruppo consigliare di Ssd, forza di maggioranza nel governo AdessoSm). Da questa, infatti, scopriamo che in seno alla maggioranza -o meglio ad Ssd- tutti in quegli anni -fiono al 2018- erano convinti che il Cis fosse una banca solida: “…C’era un quadro abbastanza positivo dell’attività di questa banca”.

Le attenzioni di AdessoSm, quindi, erano invece rivolte alla situazione di Cassa di Risparmio, indicata come il “problema centrale” poiché da essa derivava “la stabilità del Paese”. “C’era una Banca Centrale che voleva imporre (su Carisp, ndr) determinate strategie” arrivando anche ad “un momento un po’ critico” che portò “alle dimissioni di tutto il Consiglio di Amministrazione” dell’istituto di credito, “determinate probabilmente da un cattivo rapporto, di un rapporto conflittuale”. Una deposizione assai più “soft”, questa di Morganti, rispetto a quanto dichiarò, precedentemente, in fase istruttoria, al Commissario inquirente Simon Luca Morsiani, secondo la quale in queste azioni perpetrate da Bcsm nei confronti di Carisp affermò di aver “avuto la percezione di un intento liquidatorio anche nei confronti di Cassa di Risparmio”. Dichiarazione poi confermata anche in aula su sollecitazione della difesa di parte civile.

I provvedimenti richiesti (da Bcsm verso Carisp, ndr) -ha sostenuto lo stesso Morganti dal banco dei testimoni-, che poi si sono anche manifestati con la svalutazione del capitale, erano provvedimenti che se non ci fosse stato l’intervento dello Stato, non sarebbero stati sopportabili da parte di Cassa di Risparmio” e avrebbero rischiato di determinarne “il fallimento.

Strategia azzardata? O, come potrebbe essere stato per Asset Bank (uno dei maggiori competitor di Banca Cis), il fallimento, la liquidazione anche di Cassa di Risparmio (altro importante concorrente del Cis) avrebbe potuto rappresentare un “obiettivo” indicibile e celato di quella governance di Banca Centrale, almeno apparentemente -visti gli atti del “Caso Titoli” e non solo- più funzionale alle esigenze di un preciso istituto di credito che non a quelle del sistema finanziario sammarinese che, collassando, avrebbe trascinato nel baratro più profondo l’intera San Marino?

Una domanda che alla luce della testimonianza del capogruppo consigliare di una delle due grandi forze di maggioranza di quegli anni, merita una risposta. Risposta che ben difficilmente, però, potrà arrivare nelle conclusioni di questo processo, incentrato su altre specifiche ipotesi di reato.

Un aspetto, un inquietante dubbio in più che rilancia la necessità di una commissione parlamentare di inchiesta mirata a fare piena luce sul decennio più drammatico della storia moderna sammarinese, la cui democrazia appare essere stata “stuprata” da un gruppo di potere all’epoca occulto ma forte al punto di aver avuto le capacità di influenzare in maniera decisiva azioni politiche, cronache giornalistiche e, addirittura, azioni penali… Eppure, oggi, a processo non risultano -almeno per quanto dato a sapere- personaggi estranei al mondo bancario, finanziario e giudiziario sammarinese.

Enrico Lazzari

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