Da ieri il gasdotto Nord Stream 1 (la più grande infrastruttura di importazione di gas dell’Unione Europea e di proprietà della società russa Gazprom) ha chiuso la fornitura verso l’Europa per lavori di manutenzione annuale. Solo per 10 giorni. Questa la versione ufficiale, ma le consegne di gas erano già state ridotte del 60% e molti temono che i russi possano utilizzare questa pausa per interrompere definitivamente i rifornimenti alla Germania e all’Europa. La qual cosa può compromettere gli sforzi dei paesi dell’Eurozona per assicurarsi le forniture necessarie in vista del prossimo inverno. La Ue, che riceve circa il 40% del suo gas attraverso i gasdotti russi, sta cercando di ridurre rapidamente la sua dipendenza dagli idrocarburi russi in risposta all’invasione ucraina.
Si prospetta uno scenario da incubo: potrebbe succedere che non arrivi più niente. Cosa dovremo aspettarci, allora, se non arriva più il gas russo?
Per sopperire ai 29 miliardi di metri cubi di forniture che arrivavano lo scorso anno dalla Russia, l’Italia punta ad aumentare le importazioni da Algeria e Qatar via navi gasiere: a Piombino e a Ravenna sono stati individuati i porti per queste imbarcazioni in grado di trasformare il gas liquido in arrivo dall’Africa e dal sudest asiatico. Più complicato affidarsi ai gasdotti che arrivano a Gela dalla Libia, dove la situazione politica è estremamente instabile. Un aiuto per l’equivalente di 3,5 miliardi di metri cubi annui arriverà dall’uso delle quattro centrali a carbone già caldeggiato dal presidente Draghi a febbraio come eventualità solo temporanea vista l’alto tasso di inquinamento che comporterà. Con l’aut aut del movimento 5 stelle al governo sulle nuove trivellazioni sembra invece tramontata l’idea di aumentare la produzione nazionale, operazione che ad ogni modo richiederebbe mesi, se non anni.
La guerra in Ucraina, le strategie di Putin, il rischio di una crisi energetica senza precedenti con lo stop (per ora parziale e a tempo) delle forniture di Mosca all’Europa: è sicuramente un quadro assai complesso. Cosa può fare San Marino?
Il Congresso di Stato ha già assicurato che sta lavorando in parallelo con l’Italia. Di sua iniziativa, sta portando avanti un accordo con l’Albania, con la quale da tempo ci sono relazioni diplomatiche molto buone. Di pari passo, sarà fondamentale proseguire il lavoro sulle energie alternative, a cominciare dal fotovoltaico. Anche ANIS, nella sua recente assemblea, ha affrontato specificatamente il duplice problema: rifornimento e costi. Il caro energia pesa moltissimo su tutte le aziende, perciò chiede di favorire investimenti in infrastrutture e impianti che riducano la dipendenza esterna. Pesa la guerra, pesano la speculazione e l’effetto finanziario proprio in virtù dell’incertezza rispetto alle conseguenze di lungo termine del conflitto, ma la dinamica e le soluzioni vanno inquadrate in un rapporto mutato tra domanda e offerta di energia, soprattutto gas e petrolio.
“I prezzi sono così alti da prima del 24 febbraio – è stato detto durante i lavori – perché l’offerta di energia, e di gas in particolare, non tiene il passo rispetto alla domanda che è cresciuta rapidamente dopo la botta del Covid. È difficile uscirne nel breve termine se non agendo sui fondamentali, ovvero su domanda e offerta: consumando meno e provando ad aumentare l’offerta, con campagne di esplorazione, ma anche e soprattutto investendo in energie rinnovabili”.
Stessa posizione per Gerardo Giovagnoli, assunta nel corso di una recente serata promossa dal PSD: “La sfida del futuro è consumare meno e usare perlopiù il sole”. Quindi, rinnovabili prodotte a livello territoriale imparando ad accumulare tutto l’eccesso che non riusciremo a consumare, per averlo a disposizione di sera, o in inverno, quando ne avremo bisogno. Cambia il paradigma: l’energia ceduta in rete può diventare risorsa a disposizione della cittadinanza.
In altre parole, andare a caccia di kilowattora last minute può aiutare a superare la temporaneità, ma il futuro va costruito cominciando da oggi. Nel frattempo, gli scenari che si prospettano inducono i governi a pensare al peggio. Sul fronte italiano, c’è già una sorta di piano che prevede una serie di interventi che vanno dal “razionamento” del gas alle industrie energivore, al maggior utilizzo delle centrali a carbone per la produzione di elettricità. Ma anche l’introduzione di politiche di austerity dei consumi: riscaldamento più contenuto, con tagli fino a due gradi della temperatura nelle abitazioni e negli uffici, risparmi sull’illuminazione pubblica, con orario ridotto di accensione dei lampioni sulle strade. Il tutto fino a quando il gas russo non verrà sostituito da forniture provenienti da altri Paesi produttori.
Non sappiamo ancora quali misure adotterà San Marino, ma è meglio prepararsi.
a/f