Ragioniamo: le dimissioni di un Segretario di Stato possono davvero essere definite un teatrino? Cerca questa scappatoia minimalista e irridente solo chi vuole sminuire, svalutare o denigrare un atto politico che, solo per se stesso, è molto forte, ragionato e sicuramente sofferto.
Lo fa chi non ricorda che già all’atto dell’insediamento del governo, ormai due anni fa, tutta Rete, consapevole delle difficoltà che avrebbe incontrato una compagine così diversa, aveva dichiarato che stare al governo non gliel’aveva ordinato il dottore. Ovvero che non ci sarebbe mai rimasta a qualunque prezzo.
Le prime difficoltà vere si erano manifestate l’estate scorsa con la richiesta, da parte di Rete, di una “verifica di governo”. Come tutti sanno, è questa un’espressione che non si ritrova in leggi o regolamenti ma che è nata dalle consuetudini. La Treccani la definisce in questi termini: «Nel linguaggio politico e giornalistico, la verifica è l’accertamento della sussistenza delle motivazioni di fondo e delle condizioni che hanno determinato un’alleanza, un’intesa, una coalizione di governo tra due o più partiti».
Nella prassi, le verifiche sono storicamente servite a rispondere ai giochi di potere, al valzer delle poltrone (quello che si chiama rimpasto), a riorganizzare le nomine strategiche. Rete ha riportato il significato alla sua origine, ovvero alla vera ispezione sugli obiettivi del programma di governo: solo pochi stavano andando avanti, altri venivano continuamente bloccati. Per questo è nato un sistema continuativo di confronto. Che immaginiamo si sia di nuovo bloccato prima di Natale.
Possiamo anche immaginare le ragioni del riserbo del Segretario Ciavatta sul contenuto della sua lettera dimissionaria. Conoscendo la sua propensione a dire con chiarezza, a volte anche con durezza, come stanno le cose, è probabile che non abbia voluto offrire ai giornali scandalistici materia per fare “ricami” inappropriati, o per una storytelling (come si chiama oggi) di pura fantasia.
Sarebbe stato davvero triste se un uomo della sua statura e della sua presenza politica si fosse abbassato, proprio alla vigilia di Natale, a fare uno dei quei subdoli giochini che altri amano fare, inquinando la politica di bizantinismi e di tatticismi di cui francamente non c’è proprio bisogno.
Di fronte ad una situazione generale veramente molto complessa e difficile per le ragioni che vengono commentate ogni giorno, ci sta dunque che i partiti di maggioranza si siano guardati negli occhi e abbiano concluso che non era affatto il momento di far saltare il banco perché c’è bisogno di tutti e c’è bisogno di lavorare con presenza e costanza. Dal punto di vista numerico, un governo senza Rete, cioè una maggioranza di 35 Consiglieri, 33 togliendo i Reggenti che non hanno potere di voto in aula, è teoricamente fattibile. Ma con il gruppo misto e il gruppo di Motus sempre posizionati sui distinguo, avrebbe rischiato molto. Fuor di metafora, avrebbe rischiato una crisi al buio, in piena pandemia, quando tutto è ancora da ricostruire.
Augusto Casali, che è un politico di lungo corso e che dall’alto della sua esperienza ha commentato le dimissioni di Ciavatta su queste stesse pagine, sa perfettamente che la politica fatta dall’opposizione è una guerra d’attacco, ma dalla maggioranza è una guerra di trincea. Cioè si combatte sempre in prima linea, in condizioni molto difficili, senza la speranza di aiuto, ma sempre con l’obiettivo di portare a casa il risultato. In questo caso si parla di riforme e di progetti di sviluppo per il Paese, di una sanità moderna ed efficiente, di pagare i debiti e risanare il bilancio, di svecchiare e snellire la pubblica amministrazione. Cioè di traguardi che tutti reclamano a gran voce e che dovranno essere la bandiera di tutto il governo. Se poi qualcuno non si sentisse tutelato da questo nuovo tagliando della maggioranza e dovesse ancora mettere i bastoni fra le ruote, se ne prenderà responsabilità e conseguenze.
L’alternativa? Riportare il paese nell’abbraccio mortale della cricca.
a/f