San Marino. Sì al referendum. No all’aborto. Sì alle battaglie per i diritti civili … di Alberto Forcellini

I diritti civili. Gran bella parola, di cui tutti si riempiono la bocca. Ma una cosa è affermarli, ben altra è riconoscerli. La storia dei diritti umani, specialmente quelli delle donne, è raccontata in capitoli lunghi secoli e siamo ben lontani dalla parola fine. Che si potrà scrivere solo quando saranno effettivamente riconosciuti in ogni parte del mondo Oggi si parla delle donne afghane, ma in prima pagina ci sono sempre i femminicidi, uno ogni tre giorni.

La violenza è figlia dell’ignoranza, del non riconoscimento della parità di diritto tra i sessi e purtroppo ha l’onore delle cronache solo nei suoi episodi più aggressivi e mortali. Non si parla degli schiaffi, delle torture domestiche, delle violenze psicologiche, dei ricatti nei luoghi di lavoro. San Marino ci aggiunge anche l’interruzione volontaria di gravidanza punita con la galera da una legge di stampo medievale. Che la politica non è stata ancora in grado di cambiare, nonostante i numerosi tentativi da parte della società civile. Qui si è creata la frattura tra politica e cittadini, perché non lavora sui diritti civili.

È proprio questa pena, così anacronistica, così incivile, che pesa sulla scelta delle donne. Nessuna è favorevole a prescindere all’aborto. Sono tante le donne che hanno scelto di proseguire la gravidanza pur in presenza di una diagnosi di Trisomia 21 (la famosa sindrome di Down). Sono tante le donne che di fronte ad un patologia oncologica e alla diagnosi implacabile del chirurgo: o tu, o il bambino, hanno scelto il bambino, rimandando a dopo il parto le cure devastanti contro il cancro. Quasi tutte ce l’hanno fatta, insieme con il loro bambino.

Ma la vita ha mille sfumature e non tutti reagiscono alla stessa maniera di fronte alle avversità, che non possono essere comprese in una legge, o nelle sue eccezioni. E neppure negli imperativi imposti dalla religione.

Il diritto di scegliere: questo è il significato che vuole affermare il referendum a cui saremo chiamati a votare il 26 ottobre prossimo, uomini e donne, liberando la cittadina sammarinese da questa bolla che sa di preistoria, di caccia alle streghe, di cultura talebana.

L’aborto non si previene con la minaccia della galera, ma con la prevenzione e l’informazione. Il che vuol dire: educazione sessuale. Altro argomento che è ancora tabù. Ci sono ancora troppe persone che sembrano disinibite, ma che non conoscono affatto il loro corpo e la loro sessualità. E qui che nascono i guai.

Di fronte ad una gravidanza indesiderata, se la donna viene accolta, ascoltata, accompagnata e assistita, spesso può modificare la sua scelta. Perché punirla? O costringerla a rivolgersi fuori confine? Perché farla diventare una clandestina? Perché nascondersi dietro alle ipocrisie create da una società arcaica?

Sono gli interrogatavi che apre il referendum, per il quale chi è convinto della sua validità e giustezza, non praticherà mai un’interruzione volontaria di gravidanza, nella stragrande maggioranza dei casi, ma intende lasciare la libertà di scelta alla donna che ne avesse considerata la necessità. È una posizione totalmente diversa rispetto a chi vuole la donna sempre vincolata ai diktat religiosi, gli stessi che per millenni l’hanno relegata ai margini della società, della cultura, dell’arte, della vita. Gli stessi che si affidano ad una campagna referendaria trash, che fa inorridire di sdegno chiunque guardi certi manifesti.

Informare, istruire, ragionare e comprendere sono i concetti che stanno alla base del riconoscimento dei diritti. Tenendo ben presente che ogni battaglia per i diritti civili, è una battaglia per la felicità. Perché la persona a cui vengono tolte le catene, sarà sicuramente una persona più felice.

a/f