San Marino. Simone Celli e coimputati vittime di quel giustizialismo che loro stessi in precedenza hanno alimentato. … di Enrico Lazzari

…Qualunque sarà l’esito di questo processo, in primo grado ed eventualmente nei gradi successivi, resta un dato di fatto: la mia vita è stata irreparabilmente danneggiata”. Vero! Peccato che chiunque se ne accorga solo quando questo giustizialismo scellerato e, purtroppo, dilagante lo tocca direttamente.

Le parole che Simone Celli ha snocciolato nei gironi scorsi nell’Aula grande dei Tavolucci nella sua “arringa” spontanea conclusiva, mi rimandano indietro di diversi anni. Ai tempi dei titoli dei media sammarinesi, sull’inchiesta poi denominata Mazzini, che ha spazzato via una intera classe politica (forse ostacolo insormontabile per attuare i piani di affermazione e occupazione delle istituzioni finanziarie e, addirittura, politiche perpetrata dalla ormai celebre “cricca”?) e che -lo dicono le sentenze di assoluzione e proscioglimento ormai definitive- ha perseguito reati (autoriciclaggio ad esempio) che ai tempi dei fatti non erano codificati e quindi, reati, non lo erano. O si è aperta con una interpretazione errata dei principi base del Diritto, ovvero la non retroattività delle norme, un principio che non è stato introdotto dal Collegio Garante alla vigilia della sentenza di secondo grado -come qualcuno cerca ancor oggi di far credere- ma che è tale da decenni… Anche se qualche inquirente, qualche giornalista e qualche giudice protagonista di quell’indagine e di quel giudizio avrebbe dimostrato di non comprenderlo o sarebbe parso incapace di interpretarlo correttamente.

Ma dove era Simone Celli -gli chiedo di chiedersi- negli anni scorsi, quando “la vita irreparabilmente danneggiata” non era la sua o quella dei suoi familiari, ma quella dei familiari e di chi lo ha preceduto al governo del Paese? Dove era lo stesso ex Segretario di Stato quando “l’aggressività e la mancanza di rispetto del prossimo, con cui certi temi sono stati affrontati, affinché nell’opinione pubblica si venisse a creare quel clima infamante, colpevolista

e giustizialista, propedeutico ad arrivare ad una preventiva condanna popolare con una sentenza pronunciata in piazza e non in un’Aula di Tribunale”, sono parole sue riferite al suo coinvolgimento nel cosiddetto processo Buriani-Celli, si abbatteva sull’intera classe dirigente che lo ha preceduto nella stanza dei bottoni?

Dove era Simone Celli quando un gruppo di scellerati -poi finiti chissà come nientemeno al governo del Paese- manifestava brandendo e sventolando arance sotto la finestra della cella di un detenuto in regime di custodia cautelare, poi assolto definitivamente con formula piena per i reati più infamanti e prosciolto per altri? Dove era quando una madre di un ragazzino orfano di padre e appena quattordicenne, veniva tenuta -senza alcuna condanna- mesi e mesi rinchiusa ai Cappuccini senza poter incontrare mai il figlio? E dove era quando lo stesso ragazzino, per oltre un anno, non poteva incontrare la madre perchè detenuta in regime di custodia cautelare?

Fra i Buriani Boys, forse? Ovvero in quel gruppo di giovani politici “rampanti” che incontravano, nel suo ufficio ai Tavolucci, il Giudice Buriani, titolare dell’indagine che, pur chiudendosi senza alcuna condanna eccellente, “ha danneggiato irreparabilmente la vita” degli indagati e imputati di allora… Non se se ci fosse anche Celli fra i “Buriani Boys”, ma sembrerebbe di sì. Sta di fatto che -parafrasando l’ennesima dichiarazione dell’ex Segretario di Stato di AdessoSm- “niente e nessuno (oggi che sono assolti o prosciolti da ogni accusa, ndr) potrà risarcirli delle sofferenze e del dolore che hanno patito in quegli anni e che, cosa ancora peggiore, hanno patito le loro famiglie: i loro genitori genitori, le loro sorelle, i loro nipoti” e i loro figli o figlie.

Enrico Lazzari

Enrico Lazzari