San Marino “spremerà” i frontalieri… Ma Roma sta già affilando i coltelli! … di Enrico Lazzari

Beh, eccoci qua, a guardare il Titano da fuori, come un turista che scatta foto al Palazzo Pubblico ma non sa bene dove mettere i piedi. Non sono sammarinese, non ho il passaporto con lo stemma delle tre torri, ma dopo anni a scrivere di voi e per voi, mi sento un po’ come quel cugino che arriva con una bottiglia di Sangiovese e un’opinione su tutto. Ma so che vi fa piacere ascoltarla, quindi oggi, amici del Monte, l’opinione è una sola: questa storia della riforma IGR e dei frontalieri è una pentola a pressione pronta a esplodere. E il coperchio lo tenete “pressato” voi.

Enrico Lazzari

Immaginate la scena: il Segretario alle Finanze, Marco Gatti, con un sorriso da prestigiatore, tira fuori dal cilindro una riforma fiscale che sembra scritta per far incavolare chiunque viva oltre Dogana. I frontalieri, quei signori e signore che ogni mattina si fanno la traversata per lavorare nelle vostre fabbriche, nei vostri uffici, negozi e ospedali, si ritrovano con un bersaglio dipinto sulla schiena. Più tasse, stipendi più magri, e un vago sentore di déjà-vu che puzza di “tassa etnica” del 2010. Ve lo ricordate quel pasticcio? Quattromila cartoline di protesta spedite al Quirinale, minacce di bloccare il confine, e San Marino che sembrava il cattivo di un film western. Ecco, ci risiamo, o almeno ci stiamo andando vicini.

Ora, per quelli che non passano le giornate a decifrare bollettini fiscali – e, diciamocelo, chi ha il tempo di farlo quando c’è da scegliere tra un piatto di strozzapreti e un aperitivo in terrazza a Serravalle? – lasciate che vi spieghi la faccenda come se fossimo al bar. La riforma dell’Imposta Generale sui Redditi, o IGR per gli amanti delle sigle, vuole alzare le aliquote per i frontalieri, cioè quei lavoratori italiani che sgobbano sul Titano, ma tornano a dormire in Italia. In pratica, il governo dice: “Grazie per il lavoro, ma ora passate alla cassa, e non per un caffè”.

Il risultato? Meno soldi in tasca a chi serve il cappuccino, cura i pazienti o sistema le scrivanie nei vostri uffici. E non è una passeggiata, credetemi: i frontalieri sono già pensierosi, molti di loro lo sono, sulla convenienza di lavorare a San Marino. L’Italia, con la sua doppia tassazione, gli morde già una bella fetta di stipendio, lasciandoli con un reddito che sembra passare per un tritacarne. Un nuovo balzello potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso, spingendone tanti a cercare lavoro sotto casa. E sapete una cosa? In Italia, proprio in questi giorni, è emerso che mancano 260 mila addetti nel settore alberghiero e della ristorazione. L’occupazione – quella vera, a tempo indeterminato – con il governo Meloni sembra volare verso picchi mai visti. Perché mai restare a San Marino, allora, se a Rimini o Pesaro c’è un contratto stabile che ti aspetta?

Il Comitato Sindacale Interregionale (CSIR) e l’Associazione Frontalieri Italia San Marino (AFIS), che non sono esattamente club di scacchi ma – più o meno organizzate che siano – associazioni di frontalieri con i nervi a fior di pelle, gridano allo scandalo: “Discriminazione!”, “Misure inique!”, “Vogliamo un tavolo di confronto!”. Ma per ora, dal Palazzo, arrivano solo silenzi e qualche comunicato scritto con l’inchiostro simpatico. Non che il governo sia il cattivo con la risata malefica, intendiamoci. Vogliono più entrate, necessarie, forse indispensabili dopo la devastazione dei conti pubblici del decennio scorso… E chi non le vorrebbe? Il problema è che questa mossa sembra un gioco d’azzardo con le carte scoperte. I frontalieri non sono solo braccia che lavorano: sono clienti che comprano nei vostri negozi, famiglie che spendono nei vostri bar, pezzi di un’economia che tiene in piedi il Titano. Se si sentono presi a schiaffi, potrebbero andarsene, e allora addio incassi per le botteghe di Serravalle e addio lavoratori per le vostre realtà economiche. E non è tutto: Roma, quella Roma che vi manda turisti e compra i vostri prodotti, sta già alzando un sopracciglio. Una crisi diplomatica? Magari non proprio una guerra, ma un raffreddamento che potrebbe costare caro. Pensate a un’Italia che inizia a storcere il naso, a un confine che si fa più ostile, a cartoline di protesta che tornano a volare verso il Quirinale. Vi piace l’idea? A me no.

E qui sta il punto, signori del Titano. Non sono qui per dirvi chi ha ragione, se Gatti con la sua calcolatrice o i frontalieri con le loro bandiere al vento. Non sono il vostro avvocato, né il loro. Ma vi dico una cosa: questa pentola a pressione sta fischiando, e se non si trova una soluzione – un tavolo, un accordo, un briciolo di buon senso – il rischio è che salti tutto per aria. Il CSIR parla di blocchi al confine, l’AFIS di mobilitazioni, e il 2010 ci ricorda che quando i frontalieri si arrabbiano, non mandano fiori. San Marino non può permettersi di giocare al funambolo su un filo teso tra tasse e proteste, con l’Italia che guarda da lontano e prende appunti. Se poi, a ciò, aggiungiamo che storicamente i rapporti fra Italia e San Marino, con il centrodestra – sì, quello stesso schieramento che fu un tempo di Gianfranco Fini e Giulio Tremonti – al governo in Penisola non sono mai stati idilliaci…

Allora, che fare? Non ho la bacchetta magica, ma ho un consiglio: spingete per un dialogo vero, non per comunicati che sembrano scritti da un generatore automatico di “prendere o lasciare”: si vede lontano un miglio che è un bluff! Chiedete al governo di sedersi con i frontalieri, di spiegare questa riforma senza nascondersi dietro tecnicismi. Perché il Titano non è solo un Monte, è un’idea: quella di una comunità che sa stare insieme, anche quando il vento tira storto. E se non ci credete, provate a chiedere al vostro vicino di casa italiano, quello che vi porta il giornale o vi serve il pranzo. Ma fatelo in fretta, prima che decida di cambiare strada. E magari, già che ci siete, offritegli un caffè. Gratis, però, non tassato.

Ah, dimenticavo… I conti pubblici, i Paesi, non si risanano aumentando o inventando nuove tasse, ma con efficaci e lungimiranti politiche di sviluppo, magari finanziate, inizialmente anche raddoppiando il debito pubblico. Ricordate il “debito cattivo e il debito buono”?

Enrico Lazzari