Sono trascorsi 190 anni da quando il vescovo Antonio Begni autorizzò, con un atto datato 15 agosto 1827, il trasferimento delle reliquie del Santo Marino dalla Pieve alla chiesa di San Francesco. Oggi quel documento è tornato alla luce. Alcuni mesi fa Paolo Rondelli, direttore degli Istituti culturali, ha aperto un piccolo contenitore rettangolare, in metallo brunito, chiuso con un sigillo di lacca rossa. La scatola faceva parte del tesoretto del santo. All’interno è stato trovato l’antico documento, scritto in latino, rimasto ignoto per quasi due secoli. L’atto nella parte alta è impreziosito da un’intestazione a stampa su cui spicca l’immagine del cappello vescovile con cordone e sei fiocchi. Nella parte bassa è impresso un sigillo vescovile, sovrastante uno strato di carta sottile, quasi a formare un fiore. Il documento è stato stirato da Massimo Bernardi, nel laboratorio di restauro della biblioteca di Stato ed è stato poi digitalizzato e tradotto in italiano da Anna Maria Giardi Casali. Una copia del file verrà conservato nell’archivio di Stato. Il testo sottolinea la sacralità e l’autenticità delle reliquie che furono appunto spostate, alla presenza di testimoni, da un contenitore rovinato ad un altro, decorato su entrambe le parti ed accompagnate in processione all’antica chiesa di San Francesco perché al tempo la Pieve doveva essere riedificata. Il Resto del Carlino
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