San Marino. Stop alle “braccate”: cinghiali, lupi e carrozzieri ringraziano… I sammarinesi possono tremare … di Enrico Lazzari

Eccoci qua, amici del Titano, a guardare il Consiglio Grande e Generale che si muove come un elefante ubriaco in un negozio di porcellane: tanto rumore, fragorosi applausi e una scia di cocci che qualcuno dovrà pur raccogliere. 

Non sono sammarinese, lo sapete, sono quel tizio romagnol-marchigiano con la penna in mano e un sopracciglio alzato, ma dopo anni a scrivervi addosso mi sento autorizzato a darvi del tu: quando il vostro legislatore – e qualunque legislatore, in ogni parte del mondo – decide di pancia, senza un briciolo di freddezza o un pizzico di cinismo, il rischio è che a rimetterci sia l’intera comunità. E no, non parlo di una votazione sul colore delle tende a Palazzo Pubblico, ma di una scelta che sa di buono, profuma di giusto e, purtroppo, puzza di guai a chilometri di distanza.

Enrico Lazzari

Mi riferisco al fatto che, terminato l’iter – come ha già “promesso” il Segretario di Stato al Territorio e Ambiente, Matteo Ciaccila braccata andrà in pensione, ma i cinghiali no… Il tema di oggi, signore e signori, è proprio questo: l’abolizione delle braccate al cinghiale, fresca di approvazione bipartisan dal Consiglio Grande e Generale – maggioranza e opposizione unite come in un karaoke di “Volare” – su un’Istanza d’Arengo che ha fatto battere le mani all’APAS e storcere il naso a chi al fianco della fauna ci vive ogni giorno e, magari, ci lavora.

Vietare la caccia collettiva ai cinghiali, per chi non lo sapesse, significa dire addio a quei gruppi di cacciatori che, armati di fucili e buon umore, battono i boschi per tenere a bada i bestioni con zanne e appetito. Una decisione che grida “etica” e “modernità”, ma che, a guardarla con un occhio meno romantico e sensibile, sembra un tuffo in piscina senza, prima, controllare se c’è l’acqua. Perché? Semplice. Nessuno – né l’ambientalista con la camicia di lino, né l’animalista con il cuore in mano, né il green con la bicicletta elettrica, né il nazi-green con l’odio per il benessere – ha mai negato che eliminare le braccate, senza un piano B che non costi un occhio della testa, sia come invitare i cinghiali a cena senza prenotare il tavolo. 

Danni alle colture, incidenti stradali, pericoli per chi passeggia nei boschi: tutto sul piatto, e il conto lo pagano i semplici cittadini… Voi! Ma, dice qualcuno – ed è anche vero – i cinghiali sono giardinieri con le zanne, oltre che vandali a quattro zampe. Parliamo chiaro, come fossimo al bar con un bicchiere di rosso in mano. I cinghiali, in teoria, non sono il diavolo: scavano il terreno come ossessi, aerano il suolo, spargono semi e fanno pure la gioia dei lupi che li vedono come un buffet ambulante. Qualche studioso con la barba lunga li chiama “ingegneri dell’ecosistema”, e magari in un bosco sperduto è pure vero. Ma quando il loro testosterone – scusate, la loro densità di popolazione – schizza alle stelle, questi “giardinieri” si trasformano in una banda di teppisti senza freni. 

Altro che biodiversità: devastano il sottobosco, aprono la strada a piante infestanti e lasciano le colture come un campo dopo un rave party clandestino. In Italia, nonostante le braccate siano routine, Coldiretti piange 200 milioni di euro all’anno di danni agricoli – vigne sventrate, ortaggi calpestati, sistemi di irrigazione ridotti a colabrodo – e non è che San Marino possa essere un’isola felice in mezzo al disastro. Poi ci sono le strade: in Italia 199 incidenti gravi causati nel 2024 dalla fauna selvatica, 14 morti, e il cinghiale come protagonista in oltre il 90% di questi. Vi immaginate la scena? State tornando a casa di notte, magari dopo una bella cena a Borgo, e vi ritrovate un bestione da 100 chili che vi fissa dal parabrezza. Altro che “ingegnere”, qui siamo a un passo dal conto del carrozziere, sempre che la scena non sia accompagnata dal suono delle sirene di un’ambulanza.

I problemi che l’aumento eccessivo della popolazione di cinghiali determina sono un elenco che non finisce più: competizione col bestiame, diffusione di peste suina, e un rischio per la sicurezza che farebbe rabbrividire anche un assicuratore con la calcolatrice scarica. 

Torniamo ai “Sessanta” autori di una “commediola” da applausi, ma con un eco di tragicommendia. Gran bella interpretazione se l’obiettivo fosse la standing ovation. L’APAS, che in passato ha combattuto battaglie sacrosante con la forza della ragione, stavolta ha esultato come se avesse vinto al gratta e vinci, definendo le braccate “pericolose e crudeli”. E ci sta, intendiamoci: nessuno vuole un Far West nei boschi del Titano. Ma decidere così, sull’onda di un’istanza che scalda i cuori, senza un piano per recinzioni, abbattimenti mirati o magari quel vaccino contraccettivo che in Italia stanno provando, è come spegnere un incendio con un secchio bucato. 

Gli esperti, da ISPRA al WWF, lo dicono da anni: le braccate, se mal gestite, sono un disastro, ma toglierle di mezzo senza alternative è un biglietto di sola andata per un’invasione di cinghiali che non chiedono permesso neppure per farvi compagnia sotto le coperte. Qualche voce disallineata, a dire il vero, si è levata. Ad esempio il Segretario al Turismo Pedini Amati – e non credo lo abbia fatto per sparare a qualche altro lampadario – l’ha chiamata “grande miopia”. Non ha tutti i torti… Anzi, con mille licenze di caccia ancora attive e un territorio piccolo come un fazzoletto, il Titano non può permettersi di fare il buonista a scatola chiusa, perché farlo sarebbe una caz… Una stupidaggine mastodontica.

Sta di fatto che, a Palazzo, si è votato per il plauso facile, anziché anteporre a tutto l’interesse pubblico e la sicurezza per la comunità. I consiglieri hanno visto gli occhi lucidi degli animalisti e si sono dimenticati di quelli spalancati degli agricoltori, o di chi guida di notte da Chiesanuova a Fiorentino, o da Murata a San Giovanni… Hanno barattato un problema reale con una medaglia di cartone e, ora, il rischio è che i cinghiali, lasciati a briglie sciolte, diventino i veri padroni del Monte.

Domani, chi pagherà il prezzo? Allora, cari consiglieri, chiudiamo con una domanda da portarvi a letto stasera. Se una volta entrata a regime la nuova norma un cinghiale dovesse mandare un’auto fuori strada, o ridurre un campo di grano a un ricordo, siete sicuri che quel bestione sarebbe stato lì, in quel momento, e non in un fumante piatto di pappardelle? O magari, con una braccata ben organizzata, sarebbe finito in un freezer invece che sul casco di qualche motociclista? Non ho la sfera di cristallo e non ce l’avete neanche voi. Nè voglio fare l’uccellaccio del malaugurio. Ma una cosa è certa: decidere di pancia è bello, fa sentire tutti più buoni, ma quando la pancia smette di ruggire, i problemi si presentano. E i cinghiali, quelli, non mandano mica lettere di scuse. Meditate, gente, meditate. E magari, già che ci siete, tenete gli occhi aperti sulla strada. Non si sa mai.

Enrico Lazzari