San Marino. Storie di Covid, e quell’umanità che non ti aspetteresti … di Alberto Forcellini

Il Covid, la febbre, la paura e talvolta la morte. Sono storie di dolore, di solitudine, di persone profondamente toccate nell’anima, oltre che nel corpo; di famiglie strette nella preoccupazione e nel disagio. Storie di vecchi che muoiono da soli. Storie di ragazzi che si sono “spenti”, che hanno perso il sorriso e la voglia di parlare, perché non hanno nulla da fare, perché non possono uscire, perché non possono stare con i propri amici. Ragazzi che sono tutto il giorno sul cellulare perché sono in DAD, o perché non possono fare altro.

Siamo di fronte a un nemico invisibile, impalpabile, che attacca tutta l’umanità, anche se sembra che il virus risparmi i bambini e sia più clemente con le donne. Ma non ci sono regole certe, anche sulle conseguenze, che possono durare per diversi mesi.

Solo chi ci è passato sa cosa ha fatto e cosa sta facendo l’ospedale di San Marino per aiutare ogni persona, ogni famiglia, curare gli ammalati (non solo Covid) e stare vicino a chi è stato contagiato; perfino dare consigli e suggerimenti per affrontare eventuali problemi. Il motivo è semplice: un situazione che ha una soluzione non è problema. Un problema senza soluzione diventa un incubo. Forse a molti sfugge il dolore dei medici e degli infermieri in corsia contro il Coronavirus.

È sempre molto antipatico fare paragoni con l’esterno, ma chi ha parenti o amici fuori confine, sente ben altri racconti, un approccio ben diverso non tanto alla malattia, quanto alla persona. Chi è stato in ospedale a San Marino, o in isolamento a casa propria, si esprime con un solo commento: “Sono meravigliosi”. Raccontano di operatori che sono sempre presenti, che si occupano di qualsiasi richiesta. Di un’umanità che non ti aspetteresti dopo un anno di emergenza, di sacrifici, di stanchezza ma i recuperata.

Nulla avviene per caso. Se tutto ciò è stato possibile è grazie ad un lavoro di squadra, di condivisione delle responsabilità e degli obiettivi, dai livelli istituzionali a quelli operativi, dai quadri più alti a quelli più bassi. Per questo la gente si arrabbia quando vede la battaglia senza quartiere scatenata dalla politica perché qualcosa deve fare, perché deve farsi vedere, perché deve trovare il difetto ad ogni costo. Anche a costo di distruggere il Paese

La situazione è dolorosa. Come è giusto che sia. Stiamo subendo un trauma collettivo. Stiamo guardando il nostro mondo cambiare e sembra che stia andando in frantumi. È corretto sentire che c’è qualcosa che non va bene. Perché questa cosa non va bene.

Tuttavia, la perdita di intimità che hanno provocato la pandemia, l’isolamento, le morti, non può significare una perdita di empatia. È la nostra risorsa naturale più preziosa e ora dobbiamo coltivarla come se da essa dipendessero le nostre vite. Perché è così. Se il mondo cade a pezzi, sta a noi tenerci insieme, sostenerci l’un l’altro. E non cercare di distruggere quel poco che è rimasto del nostro senso di comunità.

a/f