San Marino. Straniero residente in territorio deteneva pugno americano con elettroshock — Knuckler senza autorizzazione. Condannato anche in appello a quattro mesi di prigionia

Anche se il fatto è accaduto nel 2017, la condanna in primo grado nel 2019 solo quest’anno è stata iscritta la condanna definitiva in appello dal Giudice di Appello Prof. Francesco Caprioli.

Ecco alcuni stralci di tale sentenza.

In nome della Serenissima Repubblica di San Marino IL GIUDICE D’APPELLO PENALE Prof. Francesco Caprioli. Nel procedimento penale n. XXXX dell’anno 2017 nei confronti di XXXX,(…) IMPUTATO
del misfatto previsto e punito dall’art. 252-ter, comma 3, del codice penale, perché privo delle prescritte autorizzazioni di legge, deteneva presso la propria abitazione un’arma propria (“pugno americano con elettroshock — Knuckler” prodotto dalla Ets Pierre Supper); fatti commessi a Serravalle, il 31 ottobre 2017, come da decreto di citazione del Commissario della Legge Giudice Inquirente in data 29 aprile 2019;

decidendo sull’ APPELLO  proposto dall’imputato avverso la sentenza pronunciata dal Commissario della Legge nel giugno 2019 e depositata nel luglio 2019 con la quale l’appellante è stato dichiarato colpevole e condannato a quattro mesi di prigionia, al pagamento delle spese del procedimento e alla confisca dell’arma sequestrata (con possibilità di richiedere al Giudice dell’esecuzione di essere affidato al Servizio Sociale);

udite le conclusioni delle parti e sciogliendo la riserva formulata nella pubblica udienza (….) celebrata con l’ausilio di strumenti telematici, ha pronunciato la seguente SENTENZA.

1. La sentenza impugnata ha ritenuto XXXX responsabile del misfatto di cui all’art. 252-tcr, comma 3, del codice penale, per avere detenuto in data 31 ottobre 2017 presso la propria abitazione un’arma propria «pugno americano con elettroshock -Knuckler» prodotto dalla Ets Pierre Supper sulla base:

(a) della segnalazione in data 3 novembre 2017 con la quale la Polizia Civile comunicava al Tribunale che, il 31 ottobre 2017, in seguito alla perquisizione dell’abitazione dell’impUtato, aveva sequestrato, tra l’altro, un tirapugni con laser incorporato;

(b) della comunicazione con cui, in data 21 dicembre 2017, la Gendarmeria riferiva che lo strumento in questione poteva essere qualificato come arma propria posto che la «destinazione naturale è l’offesa della persona (strumento contundente più dissuasore elettrico)», per la cui detenzione risultava «necessario munirsi di apposito titolo»;

(c) delle dichiarazioni dibattimentali del teste Assistente della Polizia Civile, il quale ha riferito: che lo strumento in questione era stato rinvenuto in un comodino; che aveva la forma di un tirapugni ma con struttura in plastica e non in ferro e con un tasto laterale per attivare la scarica elettrica; che era funzionante ed idoneo, da scheda tecnica, a provocare una scarica percepibile; che doveva ritenersi arma propria in quanto unicamente destinata all’offesa alla persona;

(d) delle dichiarazioni dibattimentali del teste Vice Brigadiere il quale ha riferito: che lo strumento sequestrato doveva essere considerato arma propria ai sensi dell’art. 3 della legge 10 agosto 2012 n. 129, punto D), in cui si annoverano anche i dissuasori elettrici; che anche in epoca precedente all’entrata in vigore della legge citata, la Gendarmeria aveva vietato l’utilizzo del dissuasore; che pertanto era necessaria la titolarità di un porto d’armi o di un nulla osta alla detenzione.

2. Osservava il primo Giudice in punto responsabilità:

(a) che risultava provata la qualificazione come arma propria del dissuasore nella disponibilità del prevenuto in quanto destinato unicamente a provocare un’offesa grave alla persona;

(b) che non poteva condividersi il rilievo difensivo relativo all’omessa verifica circa l’effettiva funzionalità dello strumento a fronte delle dichiarazioni rese dall’assistente il quale aveva riferito di averla positivamente riscontrata, rilevando che, comunque, la detenzione del dissuasore avrebbe dovuto considerarsi illecita anche se difettoso (circostanza neppure allegata dall’imputato nelle dichiarazioni spontanee dibattimentali dallo stesso rese);

(c) che anche a voler accedere alla versione (indimostrata) dell’imputato, secondo cui egli sarebbe venuto in possesso del dissuasore in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge n. 122/2012, in ogni caso il prevenuto avrebbe comunque dovuto da tale momento provvedere alla denuncia del suo possesso;

(d) che sul versante dell’elemento soggettivo, la sua integrazione appariva pacifica, essendo sufficiente a tal fine il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di avere materialmente a disposizione l’arma;

(e) che, quanto alla misura della pena, non poteva essere irrogata nel minimo della prigionia di primo grado a causa dei precedenti penali dell’imputato e per la medesima ragione non era concedibile la sospensione condizionale della pena.

3. Nei motivi d’appello e nella discussione orale il difensore dell’imputato ha chiesto, in principalità, l’assoluzione per insussistenza del fatto o con altra formula ritenuta di giustizia, facendo rilevare che non sarebbero stati effettuati i necessari approfondimenti né sulla funzionalità dello strumento, né sulla riconducibilità del medesimo alla categoria delle armi proprie, come tali necessitante di autorizzazione per la detenzione, a fronte della ritenuta contraddittorietà delle dichiarazioni sul punto rese dai testi. Ha chiesto altresì, in via di subordine, la riduzione della pena e la concessione dei benefici di legge, evidenziando l’assenza di precedenti specifici a carico dell’imputato.

4. Con memoria conclusionale in data 16 ottobre 2019, il Procuratore del Fisco assumeva l’infondatezza delle doglianze difensive, osservando:

(a) che la qualifica di arma propria del dissuasore risultava attestata dalla Gendarmeria sulla scorta della sicura destinazione dello strumento, composto da un elemento contundente e da un dissuasore elettrico, all’offesa della persona, nonché confermata dalle deposizioni dei testi, «sufficientemente chiare ed univoche»;

(b) che la misura della pena, di poco superiore al minimo edittale, doveva ritenersi congrua ed adeguatamente motivata sulla scorta delle censure giudiziarie del prevenuto.

5. Nella parte in cui viene contestata l’affermazione di responsabilità dell’imputato, l’appello deve ritenersi inammissibile per genericità dei motivi. Dichiarando l’appello inammissibile se manca «la specifica indicazione dei punti della sentenza a cui la doglianza si riferisce» (art. 193 comma 1 c.p.p.) e se i motivi dell’impugnazione sono «generici» (art. 194 comma l c.p.p.), la legge processuale richiede alla parte appellante di confrontarsi criticamente con i contenuti della decisione impugnata, adducendo argomenti (non solo di segno contrario ma) dialetticamente contrapposti a quelli che offrono giustificazione razionale, in fatto e in diritto, a tale decisione.

Nel caso di specie, a fondamento dell’impugnazione il difensore dell’imputato si limita a ribadire apoditticamente la propria convinzione che non sarebbero stati effettuati i dovuti approfondimenti sulla funzionalità dell’arma, e che sarebbe dubbia la riconducibilità del tirapugni con dissuasore elettrico al genus delle armi proprie, senza addurre argomenti neppure astrattamente idonei a confutare le contrarie opinioni espresse dal primo giudice: vale a dire, che la funzionalità del tirapugni è stata positivamente testata dall’Assistente; che la riconducibilità dello strumento alla categoria delle armi proprie risulta dalla sua inequivoca ed esclusiva destinazione ad offendere; che un tirapugni (o noccoliere, di qualunque materiale sia composto) e un dissuasore elettrico possiedono questa natura anche se considerati singolarmente.

6. Devono invece ritenersi infondate le censure rivolte alla sentenza appellata nella parte concernente la quantificazione della pena e la mancata concessione dei benefici di legge. L’unico argomento addotto dalla difesa è che la valutazione operata dal primo giudice contrasterebbe con l’assenza di precedenti penali specifici a carico dell’imputato.

Le condanne riportate dall’imputato anche in tempi recenti appaiono tuttavia sufficienti a giustificare le decisioni adottate dal Commissario della Legge: senza contare che, a ritenere rilevanti anche i precedenti non sammarinesi, l’argomentazione difensiva risulterebbe smentita tout court dalle risultanze processuali, avendo l’imputato riportato in Italia, nel giugno 2007, anche una condanna per reati in materia di armi (cfr. certificato penale, punto n. 4, aff. 504).

PER QUESTI MOTIVI visti gli artt. 161, 162, 163, 196, 197 e 198 c.p.p.,

DICHIARA inammissibile, per genericità, il primo motivo d’appello proposto nell’interesse del prevenuto avverso la sentenza pronunciata dal Commissario della Legge del 2019;

RIGETTA nel resto l’appello proposto nell’interesse dell’imputato;

CONFERMA la sentenza pronunciata dal Commissario della Legge del 2019;

CONDANNA l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del procedimento;

ORDINA la trasmissione del fascicolo processuale e della presente sentenza al Commissario della legge per quanto di competenza.

Giudice di Appello Penale – Prof. Francesco Caprioli