San Marino. Terreni pubblici in concessione d’uso, non più vendita. Lo sviluppo delle aziende è garantito. E così pure il patrimonio dello Stato … di Alberto Forcellini

Terreni pubblici, vendita o concessione? Il dibattito ha acceso la politica e i giornali quando, nei mesi scorsi, di fronte alla richiesta di estensione da parte di due aziende su piccole porzioni di terreno pubblico, ne nacque una profonda divergenza di vedute all’interno della maggioranza: da una parte la Dc, propensa alla vendita; dall’altra Rete, sostenitrice della concessione d’uso per evitare il depauperamento del patrimonio dello Stato. Un’occasione troppo ghiotta per l’opposizione, a cui basta anche molto meno per alzare il polverone ed insinuarsi nelle divergenze di pensiero. Libera accusa Rete di non volere lo sviluppo delle aziende, cerca accordi sottobanco, manifesta ricatti: o fate come diciamo noi, se no non votiamo. Lo scenario è di uno squallore disarmante, tanto da far arrabbiare anche il Segretario Canti. Ciò nonostante, la querelle dilaga sui giornali con il solito intento strumentale. I titoli sono ancora peggiori di quello che è successo in aula.

Il governo sospende le pratiche e procede ad ulteriori confronti e approfondimenti. Non sapremo mai quello che si sono detti in quelle riunioni di maggioranza, ma il ragionamento può essere andato solo su un certo registro. Infatti, se davvero il territorio è un bene comune, è doveroso interrogarsi nel momento in cui si progetta lo sviluppo in quanto non lo si può pensare separato dal sistema. Infatti ogni comportamento determina conseguenze a cascata su tutti i settori: quello economico, produttivo, sociale.

Se ognuno cerca solo la sua soddisfazione, qualcun altro ne avrà un danno, si innescano meccanismi di emulazione, saltano gli equilibri, si moltiplicano le distorsioni.

I famosi frustoli sono per lo più frutto di Varianti di PRG e di Piani Particolareggiati. Cioè di strumenti urbanistici sempre usati per aumentare le volumetrie o cambiare le destinazioni d’uso. Così si creano pezzetti di terreno, apparentemente di alcun valore, la cui alienazione potrebbe sembrare una questione minimale. Ma passa anche il messaggio che tutto è modificabile, tutto è vendibile. Nel tempo, il patrimonio dello Stato è stato impoverito in questo modo, senza aver ricevuto nulla in cambio, perché i prezzi di vendita sono sempre stati molto al di sotto di quelli di mercato. Anzi, non è mancato neppure qualche investimento a puri fini speculativi.

Poi c’è il settore agricolo, che spesso può avere necessità di allargare i terreni di proprietà privata per la coltivazione o per il pascolo sfruttando parti del demanio. E così, il problema diventa sempre più grande.

Il territorio non si può comprare, non si può allargare, non si può riprodurre ed è un bene di tutti: se lo si dà via, non è più bene di tutti. La vendita fa venir meno l’uso governativo, ma soprattutto toglie qualcosa al patrimonio pubblico, cioè della comunità. Per questo deve essere tutelato, protetto, conservato e tramandato alle future generazioni. Se tutto ciò è vero, occorre ragionare anche nell’ottica del prossimo PRG affinché non succeda come con la legge urbanistica del ’92, ancora in vigore, che ha prodotto 8 mila appartamenti sfitti e una serie inaccettabile di ecomostri da Chiesanuova a Dogana.

Se il sistema non dà regole chiare e attrattive per le aziende sane che vogliono investire, si è visto che si possono trovare gli escamotage anche sulla legge principe della pianificazione urbanistica. Ecco perché è importante impostare i giusti ragionamenti sul nuovo PRG, che dovrebbe andare in Consiglio in tempi assai brevi. Meccanismi chiari, trasparenti, uguali per tutti, senza privilegi per nessuno. Il beneficio deve essere sempre garantito a tutta la comunità e non ai soliti furbetti.

Alla luce della decisione adottata dal governo e dalla maggioranza, approvata dall’aula consiliare nella seduta di ottobre per la concessione di piccole porzioni di terreno pubblico ad aziende sane, con progetti di sviluppo, appare dunque una scelta molto appropriata. La concessione, prevista per 40 anni, può essere rinnovata senza limiti temporali. Ma il patrimonio dello Stato rimane integro e intonso.

E alla luce del risultato appare ancora più squallida la battaglia di Libera per creare scompiglio. Tant’è vero che si è ben guardata dal suggerire altri titoloni sulla vendita dei terreni pubblici! Anzi, sulla mancata vendita, pur affiancando le aziende nei loro progetti di sviluppo.

a/f