Tre anni fa, eravamo alle fine di un inverno piuttosto mite e all’inizio di una primavera che sarebbe stata molto calda e siccitosa. L’influenza ormai alle spalle. Eppure la gente si ammalava con gli stessi sintomi, ma molto più gravi, tanto da morirne. Il governo si era insediato da un mese e mezzo, non aveva avuto ancora tempo di scaldare la sedia, che già si trovava di fronte a qualcosa di molto grave, sconosciuto, per il quale non c’erano antidoti né protocolli codificati, oltre tutto con un ospedale ampiamente inadeguato ad affrontare anche una semplice epidemia di influenza. Figuriamoci i grandi numeri di un’emergenza sanitaria!
Sin dall’antichità, di fronte a malattie gravi e contagiose, si allontanava la gente dalle città e dai luoghi affollati. Lebbrosi, appestati, ammalati di colera, mal francese (che altro non era che sifilide), venivano curati con l’isolamento. Così, anche nel terzo millennio, la prima misura adottata dalle autorità sanitarie fu l’isolamento. Fino ad arrivare al lockdown.
Furono mesi difficili, che però riuscirono a sprigionare il meglio della comunità e un sentimento di appartenenza nazionale come si vede solo nelle grandi emergenze. Purtroppo, passata questa prima fase e rintuzzate le belle speranze da una seconda fase che fu molto più brutta e contagiosa, venne fuori il peggio dell’animo umano. Specialmente quando si trattò di dover fare i conti col vaccino (che finalmente era stato messo a punto dalla scienza) e più ancora con il green pass. Una specie di passaporto sanitario che permetteva la libertà di circolazione solo a coloro che erano immunizzati, o per aver avuto la malattia, o perché erano stati vaccinati. Disposizioni che una fetta della popolazione (per fortuna minoritaria) non accettava, nonostante il rischio collettivo fosse altissimo.
Poi anche tutto questo è passato, e il terribile virus che per sopravvivere aveva provveduto a decine e decine di mutazioni genetiche, finalmente ha perso forza, mentre le medicine hanno preso sempre più efficacia. Tanto che ormai non fa più paura a nessuno, anche se non è scomparso del tutto. I casi a San Marino riflettono il trend italiano: costante calo dei contagi e quasi azzeramento delle terapie intensive. Insomma, abbiamo imparato una civile convivenza, esattamente come succede per le epidemie influenzali stagionali.
Tutto quello che abbiamo passato ci ha insegnato ad essere pronti per un’eventuale, ulteriore, epidemia? O siamo ancora impreparati? Sembra proprio di sì, se guardiamo cosa è successo a gennaio, con l’esplosione di contagi in Cina, i tamponi obbligatori, aeroporti chiusi, eccetera.
I numeri mondiali sono lì a ricordarci e a capire la portata di un fenomeno, che peraltro alcuni negano ancora. Gli ultimi dati forniti dall’OMS raccontano di 756.581.850 casi confermati nel mondo dall’inizio della pandemia e di 6.844.267 morti. Numeri importanti anche a San Marino: 23.536 casi di contagio e 122 decessi. Un incubo che ricorderemo tutti per un bel pezzo! Come ricorderemo l’impareggiabile servizio che il nostro sistema sanitario ha garantito per tutto il tempo, nonostante le oggettive difficoltà e la campagna denigratoria che non ha mai smesso di angustiare tutti.
La cosa positiva è che sicuramente il Covid che abbiamo conosciuto negli ultimi 3 anni è finito. Ci sono ancora oggi alcuni pazienti che arrivano in ospedale, ma appartengono a categorie ben specifiche, immunodepressi e grandi anziani non vaccinati con quarta dose. Il Coronavirus oggi è uno dei tanti microrganismi respiratori e compete con gli altri virus e gli altri batteri. C’è sempre il rischio che possano emergere una o più varianti mutate in grado di sfuggire al sistema immunitario e di diffondersi in tutta la Terra, ma sicuramente saremo tutti più preparati a fronteggiarla.
a/f