San Marino. Tutela dell’ambiente: non è più tempo di esitazioni per andare verso la transizione ecologica … di Alberto Forcellini

La tutela dell’ambiente entra nella Costituzione della Repubblica italiana. La proposta di legge costituzionale approvata l’8 febbraio scorso dal Parlamento inserisce la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi fra i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica italiana. La norma rappresenta il coronamento di un percorso che nasce dalla sensibilità dei cittadini e conferisce forza a questi temi qualificandoli come beni fondamentali. Pertanto, aumenteranno le istanze a favore di fauna e flora, ma anche quelle di nuovi attori come i rifugiati climatici. In questo senso, la Costituzione italiana diventa una delle più innovative e intransigenti nel rispetto degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

Non solo belle parole, perché nulla sarà più come prima: i diritti dell’ambiente, inteso non come habitat umano ma come bene autonomo, entreranno nelle aule giudiziarie. E lo stesso succederà per la tutela degli animali, della biodiversità e degli interessi delle prossime generazioni. Una vera e propria “rivoluzione gentile”, ma non meno dirompente, che investe anche l’iniziativa economica privata, d’ora in avanti sottoposta al vincolo di non creare danno alla salute e all’ecosistema.

Si arriva così alla transizione ecologica, che di per sé vuol dire cercare l’equilibrio fra sviluppo e ambiente. Pertanto, la tutela dell’ambiente è il primo passo per agevolare la transizione ecologica, un concetto assai nuovo e che impone di recuperare quella cultura che era tipica delle campagne, dove nulla veniva fatto in contrasto alla natura e all’ambiente perché tutti i contadini sapevano che il loro sostentamento veniva proprio da lì.

Tuttavia, nel corso del tempo, il rapporto fra esseri umani e natura ha vissuto innumerevoli mutamenti, un continuo oscillare tra armonia e conflitto, senso di appartenenza e contrapposizione, scelta di assecondarne i ritmi e spinta a modificarne l’aspetto, fino a piegare l’ambiente circostante alle esigenze dell’uomo.

Il cambiamento climatico e l’impatto antropico sull’ambiente ci costringono a compiere un passo ulteriore e ripensare ai modelli di consumo e a quelli di produzione (le due facce della stessa medaglia della nostra società) in modo tale che siano orientati alla sostenibilità e alla tutela dell’ambiente. I consumi riguardano soprattutto le persone: quanta parte del loro reddito devono dedicare alla spesa e quali bisogni devono soddisfare in via prioritaria. La produzione, invece, chiama in causa il mondo industriale, a cui si chiede di coniugare la crescita con la salvaguardia dell’ambiente, investendo in favore di processi produttivi più efficienti e circolari, così da tutelare sia il benessere dei cittadini (e il loro reddito) sia il rispetto ambientale. In questo senso, quindi, i rifiuti (e la loro gestione) diventano il risultato più tangibile e ingombrante dei nostri modelli di consumo e produzione.

A San Marino, la coscienza ambientale è un “valore” che si sta facendo strada piano, piano, anche se ci sono esempi illuminati che risalgono ormai a oltre un ventennio fa. Era precisamente il 1998 (come ci ricorda un post su Facebook di Giovanni Giardi) quando il “Comitato di iniziativa per la Riforma Costituzionale” inserisce tra le sue proposte un ben preciso articolo in cui riconosce il territorio e l’ambiente come “un patrimonio irripetibile” da tutelare rispetto ad interventi “pregiudizievoli”.

Ma le istituzioni non raccolsero l’appello, o il suggerimento, e la proposta rimase lettera morta. Erano gli anni in cui l’elaborazione politica era molto forte, ma erano molto più forti le spinte sullo sfruttamento intensivo delle potenzialità insiste nel famoso PRG del 1992, tuttora in vigore, che trasformò il territorio in terreni da costruzione intensiva, con migliaia di appartamenti, la maggior parte dei quali ancora sfitti; ed “ecomostri” tuttora visibili da Chiesanuova a Serravalle.

Oggi, quelle immense colate di cemento ci fanno capire quanto “ambiente sia stato consumato” e come pregevoli porzioni del nostro paesaggio siano andate irrimediabilmente perdute. Oggi, siamo ancora impegnati a far capire la necessità di non sversare rifiuti in corsi d’acqua sempre più asciutti a causa dei cambiamenti climatici, a non mutare ogni greppo in una discarica, a differenziare bene i rifiuti domestici. Soprattutto quelli organici, che potranno essere trasformati direttamente in compost senza essere portati (a pagamento) fuori confine.

L’amministrazione sta cercando di fare la sua parte. Certo è che se da quella parte ci sono i comportamenti virtuosi dei cittadini, il percorso diventa più veloce e più efficace. I fattori in gioco sono molteplici: il tempo, lo sviluppo tecnologico, la produzione di nuovi materiali, sino a nuovi modelli di gestione e tariffazione del rifiuto in grado di spingere sia i cittadini, sia le imprese ad avere tutti gli stessi obiettivi.

È venuto il tempo di ricercare innanzitutto la sostenibilità come motore per la crescita economica. Una nuova società fondata sul riconoscere l’equilibrio tra produzione, consumo e ambiente come la dimensione in grado di generare reddito e benessere per tutti, e di cui la tecnica possa essere un attore al servizio della comunità. Da un modello lineare, ancora oggi mainstream, a un modello circolare, fatto di riprogettazione, osmosi produttiva, sinergie, reti, buone pratiche, etica, competenze, fantasia. È questo il significato più intimo della transizione ecologica, per il quale le istituzioni sono chiamate a indicare la via e a coordinare l’impegno collettivo di cittadini e imprese.

a/f