Ma perché, a San Marino, le riforme non si possono fare? Servono come il pane. Ma non si possono fare. Anche quando tutti sanno che sono necessarie. Non si possono fare. Chi prova a farle, poi, è percepito come una minaccia. Anche per questo non si possono fare. Quale folle si prende la briga di farle quando tutti, intorno a lui, sono convinti che non si possono fare e si adoperano, di conseguenza, per impedirle?
Dall’inizio degli anni 2000 non c’ stato governo che non vi abbia dedicato un capitolo importante nel suo programma di legislatura. Qualcuno ricorderà i proclami sulla politica congressuale, e quanti soldi spesi inutilmente. Da qualche tempo, non se ne parla più.
Non c’è stata associazione datoriale, sindacato, soggetto sociale o culturale, che non abbia rivendicato le riforme a gran voce. Qualche pallido tentativo è avvenuto, ma sempre cercando di accontentare questo e quello, cosicché le pseudo riforme che ne sono derivate, si sono rivelate delle toppe più brutte del buco che tentavano di coprire.
Vediamo ad esempio la riforma delle pensioni. Tutti i tentavi fatti negli ultimi 10 / 15 anni, si sono rivelati inadeguati. Il saldo previdenziale (pensioni erogate e contributi riscossi) è in deficit dal 2014. Nonostante l’obbligo di legge per il contributo statale sul fondo pensioni, si sa già che il tesoretto di 400 milioni accantonato, sarà inesorabilmente eroso tra pochi anni. Un primo testo di riforma è pronto e già messo sui tavoli di confronto. Ma il sindacato nicchia: prima facciamo le altre riforme. Ma non dice quali. Le forze politiche non si pronunciano. E già c’è chi fa i conti: se va in vigore la riforma, chiederà di andare subito in pensione. Se no aspetta.
Altro capitolo, la burocrazia, primo nemico da abbattere per ripartire. Un mostro dalle mille teste, che spesso frena qualsiasi buon proposito. Qualcosa si sta muovendo, con snellimento e digitalizzazione di numerose procedure. È ovvio che per risultati veramente efficaci, si dovrà intervenire in maniera strutturata su tutti i comparti.
Riforma della fiscalità. La si invoca da anni, in termini di equità, maggiori controlli, eliminazione dell’evasione e dell’elusione. Bisognerebbe aumentare la compliance fiscale, salvaguardare la progressività, evitando un’eccessiva perdita di gettito. Bisognerebbe introdurre il regime IVA e armonizzarsi agli paesi europei. Ma la domanda è come quella sopra: quanto conviene? Non è meglio partire prima dalle altre riforme?
Poi ci sono le riforme del mercato del lavoro, della scuola, del commercio, dell’editoria, delle poste (un servizio profondamente cambiato con l’avvento delle tecnologie informatiche) . Qualcuno comincia a chiedere anche una riforma del sindacato, che si oppone a prescindere su tutte le cose e costa molto allo Stato. I sindacalisti distaccati dalla PA (pagati dallo Stato) costano 600 mila euro all’anno, quelli distaccati dall’Iss, costano 200 mila euro. Quelli distaccati dal privato, vengono pagati rispettivamente dalle aziende di provenienza. Tutti indistintamente, percepiscono un’indennità sindacale piuttosto cospicua, pagata dal sindacato, in aggiunta allo stipendio.
Sono tutti Moloch quasi del tutto impenetrabili alle parole, agli slogan, alle dichiarazioni di intenti. In effetti, si sente uno strano sferragliare nei palazzi della politica. Ma non è quello dei carrarmati dei golpisti, sembra più quello delle catene dei conservatori, quelle che scattano quando si parla di riforme e che legano il nostro paese ogni volta che tenta di spiccare il volo. Proprio vero: a San Marino le riforme non si possono fare. Ma stavolta, chissà, magari si faranno.
a/f