Ci eravamo lasciati, qualche settimana fa, con un interrogativo: quanto costa un “vaffa”? Finalmente si è saputo che per un “vaffa” il reato non esiste. Alla buonora! Assoluzione con formula piena per Roberto Ciavatta ed Emanuele Santi. Ma il calvario è durato quasi tre anni. Un’odissea fatta di illazioni e di bugie; un processo mediatico che si è scatenato con particolare virulenza in campagna elettorale e non è finito neppure quando gli indagati sono diventati rispettivamente membro di governo e segretario di partito.
È ovvio: bisognava distruggere Rete! Questo era l’imperativo impartito per tutta la passata legislatura perché gli esponenti di Rete non facevano sconti a chi stava distruggendo lo Stato e si stava impadronendo di tutte le sue risorse. La manifestazione al Meeting, l’esposto per il caso titoli, la denuncia sul colpo di Stato, i sit-in sul Pianello, l’elenco è lungo. Bisognava annientarli. Tutti. Una bella denuncia per violenza privata ed istigazione a delinquere, ci stava come il cacio sui maccheroni. Tanto più che in tribunale c’era un giudice a cui piaceva molto il “tintinnar di manette”, tanto da farlo risuonare perfino a una settimana dal voto. Alla faccia della presunzione di innocenza!
Dopo le elezioni, è ancora peggio: il processo mediatico continua più di prima. L’obiettivo è distruggere la credibilità politica del movimento e incrinare la maggioranza. Ma alcuni fattori cambiano. Innanzi tutto si viene a sapere chi è Buriani, e cioè la longa manus di Grandoni e di Guidi, e già questo basterebbe ad inficiare la fase inquirente e di conseguenza far saltare il processo. Poi cambia la governance di Cassa di Risparmio, la quale, facendo un’indagine interna, si rende conto dell’insussistenza dei fatti e ritira la querela. Già perché i querelanti avevano fatto pagare le spese alla Cassa. Come del resto facevano abitualmente per pranzi, giri vari e perfino il caffè al bar.
A quel punto si sgonfia tutto, viene a meno l’arroganza (questa sì) di chi usava il potere e le coperture politiche per la propria impunità. L’ex presidente Zanotti manco si presenta. Sentiti i testimoni, emerge che non vi fu nessun blitz, che non vi fu nessuna istigazione a delinquere, né tanto meno violenza e minacce, sulle quali era stato imbastito un processo farsa. Solo per obiettivi inconfessabili. E non si dica, adesso, che il giudice Brunelli è dalla parte di Rete, perché è lo stesso che ha annullato i domiciliari di Daniele Guidi tra il sabato e la domenica!
Tutto è bene quel che finisce bene? Non proprio, perché Roberto Ciavatta, Emanuele Santi ed Elena Tonnini (che era già stata assolta), hanno pagato un prezzo altissimo sia in termini politici che personali. Questo, qualcuno ce l’avrà sulla coscienza. Ammesso che ce l’abbia e non abbia venduto l’anima al diavolo, come il Faust di Goethe.
a/f