San Marino. VENDITA della BANCA DI SAN MARINO, conflitti d’interessi? Prima si chiarisce, poi si decide. Ma senza vedere i documenti non c’è fiducia. … di Marco Severini

La vicenda BSM non è una corrida tra tifoserie, è un esame di maturità per un intero sistema. L’oggetto non è “vendere sì o vendere no”, ma se il percorso regge alla luce.

Da un lato c’è Beppe Morganti, socio ECF, che mette sul tavolo 118 firme e una denuncia precisa: tra venditori, acquirenti, mediatori e arbitri i confini si sarebbero assottigliati, fino a sfiorare il conflitto d’interessi.

Dall’altro c’è la replica dell’ECF: basta allarmismi, l’Assemblea richiesta dai soci si farà a settembre, il 12 aprile l’Assemblea ha già dato un mandato a larghissima maggioranza, l’investitore è serio, i nomi sono pubblici, e comunque deciderà Banca Centrale.

San Marino. Il CDA di Ente Cassa di Faetano replica al Consigliere Morganti.

In mezzo, cioè dove stanno i correntisti – quindi anche io -, le imprese, i lavoratori e una banca che vale più della somma dei suoi numeri, c’è una domanda semplice: possiamo fidarci del metodo?

Se Morganti esagera, la smentita non è un aggettivo nel comunicato: è un faldone di documenti. I soci e il Paese devono vedere, non indovinare.

Chi ha seguito la pratica per l’ECF?

Quali studi legali, finanziari, industriali, con quale mandato, da quando, con quali compensi e, soprattutto, con quali eventuali success fee legate al closing.

È normale, nei deal seri, che gli advisor firmino autodichiarazioni di assenza di conflitti: niente rapporti, diretti o indiretti, con l’acquirente, con i mediatori della proposta, con controparti e soggetti che siedono o siederanno nella governance.

Non è una formalità da riempire: è l’aria che si respira quando le operazioni vogliono arrivare a destinazione senza tossire.

Se anche solo un professionista risultasse legato a chi ha mediato l’affare, o avesse incrociato incarichi incompatibili lungo la filiera, il danno non sarebbe per “l’immagine” di qualcuno: sarebbe per la credibilità dell’operazione davanti ai soci, alla vigilanza, al mercato. Qui non reggono le pacche sulle spalle. Regge solo la carta.

C’è poi il cuore politico-istituzionale: i 118 soci che chiedono di blindare nello Statuto il passaggio in Assemblea sulla cessione. Sono cittadini, capitale sociale, non figurine.

Leggo, e lo ha scritto Morganti, che qualcuno starebbe lavorando per far ritirare firme e svuotare la richiesta. Se fosse vero, sarebbe un gesto miope e, peggio, irrispettoso del corpo sociale. L’Assemblea annunciata per settembre va trattata per quello che è: il luogo dove le cose si decidono guardandosi negli occhi.

Ordine del giorno limpido, quorum noti, verbale integrale.

E un chiarimento non più rinviabile: che cosa ha votato davvero l’Assemblea del 12 aprile? Un mandato generale e reversibile a trattare, o un’autorizzazione specifica a cedere la maggioranza? Le parole “passaggio in Assemblea” sono state ripetute più volte: bene, allora mettiamo agli atti il testo votato, i numeri, i contenuti. Le ambiguità semantiche, con una banca di mezzo, non sono un dettaglio: sono benzina vicino al motore.

Sul profilo dell’acquirente, prendiamoci sul serio. È noto che la San Marino Group è società di costituzione recente e che attorno all’operazione circolano nomi e curriculum importanti nel mondo assicurativo e finanziario. L’ECF li cita e li difende. Benissimo.

Qui non interessa se uno è famoso o ha dieci lauree: interessa il piano industriale per BSM, la catena proprietaria completa, chi decide davvero, che cosa succede al credito al territorio, chi siede nel CdA, quali sono gli impegni su occupazione e filiali, quali patti parasociali governano la nuova fase.

Ci sono diritti speciali a tutela del territorio?

Esiste una golden share di ultima istanza?

Quali KPI pubblici misureranno l’impatto nei primi 24 mesi?

Sono domande elementari, non trappole.

C’è anche un passaggio giuridico che l’ECF rivendica nel suo comunicato: su richiesta del CdA, il Tribunale avrebbe riconosciuto l’Ente Cassa come Fondazione a tutti gli effetti. Se confermato, è un fatto non banale e merita la pubblicazione del provvedimento, perché incide sull’identità dell’ente, sui poteri e sulle responsabilità del CdA. Non bastano tre righe in un pdf: serve che il documento sia messo a disposizione dei soci, perché la cornice giuridica è la prima garanzia di tutto il resto.

Poi c’è la vigilanza. È vero: la parola finale sarà di Banca Centrale. Ma Banca Centrale non decide mai al buio. Pretende onorabilità, indipendenza, coerenza patrimoniale, e vuole vedere le carte di due diligence, le fairness opinion, i verbali chiave degli organi sociali.

Se ECF e acquirente rendono pubblica la sostanza, non gli slogan, fanno un favore prima di tutto a se stessi: riducono il rischio regolamentare, eliminano i sospetti, mettono il Paese in condizione di capire.

Se invece restiamo nella nebbia, anche il sì della vigilanza, ammesso che arrivi, sarebbe un sì fragile, continuamente esposto a polemiche, ricorsi e retromarce.

Infine, un punto che tocca la cultura del nostro dibattito: la fretta, e l’abbiamo vista anche in altre occasioni. Capisco l’urgenza di dare stabilità a BSM, capisco la tentazione di correre per chiudere “entro l’autunno”.

Ma una corsa opaca non è velocità: è imprudenza.

La trasparenza non allunga i tempi, li mette in sicurezza. Se tutto è a posto, lo si dimostra in due mosse: nomi, mandati, dichiarazioni di assenza di conflitti; estratti del preliminare con le clausole di governance e tutela del territorio; piano industriale con impegni vincolanti e responsabilità in caso di inadempienza.

Se qualcosa non torna, meglio fermarsi un giro che uscire di strada alla curva dopo.

Non si dice “no” alla vendita per partito preso, ma si dice no all’opacità.

Le parole di Morganti, piaccia o no, hanno un peso specifico perché centrano il nervo vero: i conflitti d’interessi.

Se sono infondate, ECF ha l’occasione migliore per smontarle con i documenti e uscirne più forte. Se una parte fosse fondata, si fermi la giostra, si raddrizzi il metodo, si ricominci senza zone grigie.

La banca non è un trofeo, è un’istituzione. E le istituzioni, da queste parti, o reggono alla luce, o non si toccano.

Si deve chiedere le carte, il resto è rumore.

Marco Severini – direttore GiornaleSM