Violare il segreto bancario per collaborare con l’autorità giudiziaria straniera non è un illecito né sotto il profilo della privacy e neppure sotto l’aspetto del danno patrimoniale provocato al cliente, “costretto” ad aderire alla sanatoria fiscale. Della questione se ne occupa il Sole 24 Ore con un accurato e tecnico approfondimento, del quale proveremo a fare una sintesi per i non addetti ai lavori. Anche perché l’argomento è non solo di grande interesse, ma va a sancire quanto già da tempo assodato: il sistema bancario sammarinese e il sistema stesso è trasparente, una vera e propria gabbia di vetro. Il principio richiamato in premessa di articolo, lo ha sancito la Corte per il Trust e i rapporti fiduciari del Titano – causa 2/2014 – dando pienamente torto a un investitore italiano che aveva citato davanti alla corte specializzata del Titano (presidente Maurizio Lupoi, giudice Antonio Gambaro) una fiduciaria e la banca italiana utilizzate per l’operazione. Operazione iniziata nel 2005 con il conferimento di “doppio mandato” (alla fiduciaria sammarinese e a una fiduciaria italiana: scopo, bloccare l’identificazione del titolare effettivo dello spostamento di denaro tra i due Paesi) per il rimpatrio di 2,5 milioni di euro sul conto di una Cassa di risparmio emiliana, operazione conclusa, tra l’altro, con l’applicazione di una commissione del 20 per cento. Tre anni dopo, il (mancato) contribuente italiano decide di ritornare sotto la giurisdizione (e le banche) del Titano, proprio alla vigilia di un’indagine della magistratura italiana a carico delle fiduciarie del doppio mandato, Amphora in Italia, Smi a San Marino. A quel punto, e viste anche le notizie di stampa – spiega il Sole 24 ore nella sua puntuale ricostruzione – il cliente decide di aderire in patria allo Scudo fiscale del 2009, proprio mentre l’autorità giudiziaria sammarinese accoglie la richiesta di rogatoria del-la Procura della Repubblica di Roma – che indagava all’epoca per le ipotesi di riciclaggio, esercizio abusivo di servizi di investimento e appropriazione indebita. Tra i nomi trasmessi in Italia figurava anche quello dell’investitore che poi la citò, proprio per questo, a giudizio. Secondo la Corte dei Trust, però, l’investitore non ha alcun diritto di contestare la condotta della Smi sotto il profilo della tutela della riservatezza: non solo perché la fiduciaria era tenuta a collaborare con le autorità italiane (e prima ancora con la giustizia sammarinese), in secondo luogo perché i rischi sulla privacy riguardavano “solo coloro che avessero intrattenuto con Smi rapporti da non rendere noti al di là delle ordinarie esigenze di riservatezza, per esempio per aver tenuto all’estero disponibilità finanziarie non dichiarate”. Men che meno, scrive infine la Corte dei Trust, si può contestare alla Smi una mancanza di diligenza per non aver eccepito un vizio procedurale della rogatoria che non poteva conoscere, e che anche se avesse conosciuto non può certo essere individuato come “causa” dello Scudo del cliente. In parole povere sul Titano non si può invocare la privacy per coprire un possibile reato. L’articolo rappresenta una bellissima e quanto mai opportuna pubblicità per il Paese: un Paese dove non conviene più venire per effettuare certe pratiche opache.
la tribuna.sm