Bologna – In Emilia-Romagna la Rete per l’assistenza all’infarto ha retto all’urto della prima fase della pandemia e i pazienti con infarto miocardico hanno continuato anche nei mesi più difficili del lockdown a ricevere le migliori cure possibili.
Uno studio promosso dalla Regione, condotto in tutte le principali strutture cardiologiche ospedaliere da Piacenza a Rimini e pubblicato oggi dalla prestigiosa rivista di medicina Lancet nella testata The Lancet Regional Health Europe 2021, ha infatti evidenziato due risultati significativi: rispetto al triennio precedente non è aumentata la mortalità in ospedale dei pazienti infartuati e la riduzione dei ricoveri per infarto è stata decisamente molto più contenuta rispetto ad altri territori, con l’Emilia-Romagna che ha visto un calo del 20% mentre in alcuni Paesi in Europa si è arrivati anche al 50%.
Rientra invece nella media nazionale rivelata dall’Istat l’aumento della mortalità cardiaca extra-ospedaliera, che in Emilia-Romagna è stata del 17%: secondo la ricerca, la responsabilità non è da ricondurre alla riduzione delle prestazioni ospedaliere ma in altri effetti indiretti del Coronavirus, come il timore da parte dei cittadini, di fronte ai primi segnali di un possibile infarto, ad accedere in Pronto soccorso per paura di un contagio.
La rete regionale per l’assistenza all’infarto
In Emilia-Romagna, la Rete regionale per l’assistenza all’infarto miocardico acuto è uno dei punti di forza del sistema sanitario regionale: avviata nel 2002, una delle prima in Italia, include nella sua organizzazione il servizio emergenza 118, i Pronto soccorso, gli ospedali spoke e gli ospedali hub con laboratorio di emodinamica. E proprio la piena operatività delle Unità coronariche e dei laboratori di emodinamica H24 del territorio regionale ha garantito adeguata assistenza e tempestivo trattamento con angioplastica coronarica ai pazienti con infarto miocardico acuto, assicurando una sopravvivenza del tutto sovrapponibile a quella degli anni precedenti a differenza di quanto avvenuto nella maggioranza delle realtà nazionali e internazionali che hanno registrato un importante incremento della mortalità ospedaliera durante la prima fase della pandemia. /JF
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