Un’azienda abusiva, come in effetti suggerivano le soffiate degli informatori della squadra mobile di Forlì. Ma non un laboratorio artigianale con operai in nero, come sospettavano gli investigatori. Era una fabbrica di droga, a Fiumicino di Savignano sul Rubicone. Con 650 piantine di marijuana pronte a germogliare e due chili di erba già trinciati come fossero tè. Stando a una prima stima degli esperti della narcotici, il valore della merce una volta immessa sul mercato (a seconda di prezzi, tagli e produttività) poteva raggiungere i due milioni di euro.
La struttura produttiva era degna della più redditizia delle industrie: 150 lampade, 150 trasformatori, cinque motori, decine di aspiratori per la termoventilazione e cinque stanze, una al piano terra per l’essicazione, quattro al primo piano per la coltivazione. E tutto il capannone era sigillato, per evitare dispersioni all’esterno; i fumi erano canalizzati in un camino grazie a una ragnatela di serpentine e condotti di esalazione.
Era tutto talmente piombato che i detective della narcotici della squadra mobile di Forlì, per entrare nello stabile, hanno dovuto usare mazze, martelli, vanghe per abbattere il portone d’ingresso.
All’interno, una luce rossastra, un odore pungente e nauseabondo, un rumore sommesso di macchine al lavoro. Lì per lì gli investigatori della Mobile, diretti da Mario Paternoster, credevano che lo stabile fosse deserto. Ma al piano superiore, nel bagno, disteso, rannicchiato nella vasca, tentava di nascondersi un uomo: Li Zang Cheng, 31 anni, clandestino cinese, arrestato in flagranza di reato con l’accusa di detenzione e spaccio di droga. Gli investigatori sospettano che l’uomo sia in realta il manovale di una catena di comando ben più vasta innestata su una potente gang di traffico di sostanze illecite (l’affitto dello stabile è intestato a un’altra persona, ora al vaglio delle forze dell’ordine). Per questo le indagini proseguono per cercare di individuare la testa pensante dell’organizzazione. Un cartello così efficiente da rubare l’energia all’Enel per tenere accesa 24 ore su 24 tutta la struttura. Con un contatore da 11 kwh, lo stabile era connesso a una colonnina della società elettrica dalla quale succhiava dai 70 ai 75 kilowatt al giorno, per un danno stimato di 550 euro al giorno. Il Resto del Carlino