Scatta il patto Roma-Parigi: meno vincoli all’economia

Sergio Mattarella è al centro, con gli occhi stretti e le dita che stringono a destra la mano di Emmanuel Macron e a sinistra quella di Mario Draghi. Sembra un arbitro, ma è più un notaio. Tutti indossano la mascherina. Pacta sunt servanda e passerà alla storia come «Trattato del Quirinale». È la firma sull’accordo bilaterale tra Italia e Francia. È su questa linea che potrebbe scorrere buona parte del destino dell’Europa. L’altra va da Berlino a Parigi, con l’accordo di Aquisgrana del 2019, con Angela Merkel come protagonista. Sono i due lati di un triangolo e si sta lavorando a disegnare il terzo. È la prospettiva su cui si sta muovendo Draghi. È ancora presto per parlarne. Adesso c’è da raccontare questo passo. Ci sono due nazioni che da sempre condividono la storia, legati per confini, cultura, radici, incroci e influenze. Non sempre è stato facile. La fratellanza ha seminato sangue, tradimenti, sospetti e veleni. Ci siamo contaminati, spesso riconoscendoci, altre volte senza simpatia. Questa volta la collaborazione è così stretta che arriva dentro i rispettivi consigli dei ministri. Si inaugura un metodo di lavoro. Cosa dice il trattato? La politica estera è di fatto comune e questo vale per la diplomazia e per la difesa. C’è l’impegno di lavorare insieme per la riforma profonda delle politiche migratorie. È l’idea che i flussi sono una questione europea e in particolare Francia e Italia devono coordinarsi per aprire o chiudere i confini. C’è un legame economico ancora più stretto, con l’accordo a facilitare gli investimenti reciproci, con progetti anche sulle piccole e medie imprese, con la «cooperazione in settori strategici come le nuove tecnologie, l’intelligenza artificiale, il 5G-6G e la quantistica». È l’economia del futuro. C’è l’attenzione all’ambiente e la «de-carbonizzazione in tutti i settori appropriati». Tra i punti chiave c’è un sistema di consultazioni, inclusa la partecipazione reciproca nel consiglio dei ministri una volta per trimestre.

L’alleanza più stretta dovrebbe avere anche conseguenze rilevanti nella politica economica europea. È il segno che sta cominciando il dopo Merkel e c’è da ridefinire i patti di stabilità. Questa è una questione fondamentale. Il Covid ha reso i criteri sul debito pubblico e sugli investimenti meno rigidi. Ha aperto una crisi e allo stesso tempo chiuso la stagione dell’austerità. Per ripartire, per ricominciare, è servito coraggio e scommettere sul Next Generation. È servita fiducia, reciproca. Macron e Draghi sono convinti che tornare indietro non sia possibile. L’Europa è cambiata. Non tutti però sono convinti che sia davvero così e denunciano questo eccesso di prodigalità. È lo scontro tra gli austeri del Nord e i paladini dello sviluppo del Sud. È arrivato il momento di capire cosa farà la Germania.

Il trattato è nato per iniziativa del governo Gentiloni, ma l’accelerazione è arrivata con Draghi. Il presidente del Consiglio ha gestito in prima persona l’approdo finale. Lo ha fatto senza coinvolgere gli altri ministri, i partiti di maggioranza e il Parlamento, che comunque ora dovrà votare per ratificarlo. È un metodo che non è piaciuto a tutti. A dirlo in chiaro finora è stata Giorgia Meloni.

I dubbi ci sono anche su quanto sia il caso di fidarsi della Francia. «Apprendo – commenta la leader di Fratelli d’Italia – che un ministro francese ci dice che il modello di questo accordo è Stellantis. Non mi tranquillizza». Per Draghi invece questa intesa è l’occasione per ripensare l’Europa, per avere un peso, per tornare ad avere un ruolo centrale. La pandemia ha insegnato che senza una visione comune nessuno si sarebbe salvato. «Le nuove regole – sostiene Draghi – devono riflettere un passato che bisogna correggere e un futuro che bisogna disegnare».


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