Passare dalle parole ai fatti è l’imperativo imposto dal sistema economico, se vuol riprendersi. L’obiettivo è condiviso, la congiuntura negativa ha aumentato la consapevolezza di tutti sulla reale portata dei problemi, più sfumata appare tuttavia la strategia per risolverli. Per questo Tribuna mette a disposizione del sistema uno strumento operativo che vorrebbe avere un effetto benefico, proponendo con frequenza quindicinale l’analisi economica di Biagio Bossone, già Presidente
di Banca Centrale di San Marino, Direttore Esecutivo del Gruppo Banca Mondiale e membro del consiglio direttivo del Fondo Monetario Internazionale (FMI), consulente dell’Indipendente Evaluation Office dello stesso FMI ed esperto della High Commission for World Bank Reform.
Oggi è consigliere economico di governi e organismi internazionali, e da qualche tempo è consulente di Asset Banca. L’economista offrirà con i suoi affondi uno sguardo prospettico dal respiro internazionale e un punto di vista che possa alimentare il dibattito economico in Repubblica.
l Fondo monetario internazionale lo ha detto in modo inequivocabile: con l’implosione del modello di offshore banking che è stato all’origine della fortuna sammarinese, la straordinaria perdita di un terzo del prodotto nazionale avutasi dal 2008 a oggi rappresenta una caduta permanente della ricchezza del Paese.
D’altra parte, rimpiazzare il vecchio sistema con uno nuovo, trasparente, dinamico e competitivo, non è cosa che si fa in un giorno.
Beh, si dirà, ci si potrà accontentare di un’economia più piccola e di un minore livello di benessere materiale. Dopotutto, si sente parlare sovente di “decrescita felice”, no? In teoria nulla lo vieta, se questo è l’obiettivo che l’arengo consapevolmente si dà. Senonché, anche un processo di deliberato riorientamento verso la parsimonia richiederebbe di essere programmato e pilotato organicamente, in modo da risultare socialmente e politicamente sostenibile.
Altrimenti la società si avvia su un percorso di declino, forse anche lento, ma inesorabile, che è cosa altra dalla decrescita felice: il declino è perdita di vigore e di creatività del corpo sociale; obsolescenza e improduttività del suo tessuto economico; erosione delle sue fibre morali e imbarbarimento del suo vivere collettivo.
Il declino, oltretutto, è un processo che s’innesca subdolamente e difficilissimo da invertire: gli indicatori demografici lentamente peggiorano, la quota di investimenti pubblici e privati sul prodotto nazionale progressivamente recede, ci si ritrova con un settore pubblico pletorico e fiscalmente insostenibile a scapito di un settore privato sempre più asfittico, e l’economia perde competitività.
Fino a che si scopre che molti di quei diritti che la gente riteneva acquisiti non solo acquisiti non sono ma non sono nemmeno diritti, se non c’è un’economia che produce e li sostiene.
Per non entrare in una spirale di declino, San Marino non ha altra scelta che aprirsi al mondo esterno (oltre l’Italia, beninteso), sia per attrarne energie, risorse, iniziative e talenti che non trova al suo interno, sia per crearvi sbocchi una volta che avrà avviato la produzione di nuovi beni e servizi. Inoltre, dovrà saper sfruttare questa apertura per formare il suo capitale umano sui saperi oggi fondamentali e farne un uso adeguato allorché esso risulta pronto per essere impiegato.
Occorre rompere quella comprensibile chiusura culturale di chi per lungo tempo ha vissuto la “rocca” come necessaria protezione dal resto del mondo. Oggi la chiusura non paga; anzi, indebolisce, fa regredire. Certo, occorre selezionare con cura chi entra da fuori per investire e operare in Repubblica e occorre adottare criteri di selezione non basati sulle preferenze personali di questo o quel referente di turno che dall’introdurre il proprio cliente pensa solo al suo ritorno e non a ciò che ne viene per il sistema tutto. Occorre mettere da parte le invidie, le gelosie e la logica dei veti incrociati, che finiscono soltanto per far perdere opportunità a scapito di tutti.
Occorrono criteri trasparenti e obiettivi di politica industriale, da utilizzare per selezionare interventi esterni in settori ad alta creazione di valore aggiunto, possibilmente in joint venture con partner locali o con la partecipazione di fondi d’investimento sammarinesi, e negoziare le agevolazioni da concedere e gli impegni da ottenere in cambio in termini di occupazione, trasferimento di conoscenze e tecnologiche, formazione di risorse umane. Occorre inoltre attivare quelle condizioni ambientali (incentivi fiscali, semplificazione normativa e amministrativa, accesso a infrastrutture tecnologiche e finanziarie, certezza del diritto e efficienza nell’amministrazione della giustizia, etc.) che rendano conveniente investire in San Ma- rino per operarvi in contatto col resto del mondo.
Perché, giusto come esempio, non pensare di attrarre a San Marino start up di giovani imprenditori europei e non, offrendo loro condizioni ambientali particolarmente vantaggiose, tra cui incentivi fiscali e piattaforme di finanziamento online tipo people-to-people aperte a investatori internazionali? Per fare cose simili vanno messi insieme progetti condivisi, il settore pubblico, quello privato, soggetti interessati locali e stranieri e istituti d’affari con funzioni di facilitatori.
Difficile? Di sicuro facile non è. Ma se idee come questa appaiono di complessa applicazione, si deve pensare che la piccola dimensione del Paese può tornare utile. Essa può rendere il processo decisionale e realizzativo più rapido rispetto a realtà più grandi e può più facilmente mostrare all’esterno un’unità d’intenti che dia un’idea di credibilità a chi deve venire a investire.
Lo hanno fatto in passato e con successi altri paesi piccoli. È capace San Marino di scommettere su se stessa? La Tribuna
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