«Questa corte condanna Francesco Schettino alla pena di sedici anni e un mese di carcere». La voce del giudice Grazia D’Onofrio risuona metallica dentro l’aula semi vuota della Corte d’appello di Firenze. Non c’è la folla delle grandi occasioni, le telecamere non sono state fatte entrare e anche i curiosi si sono tenuti alla larga, in un clima plastico di disinteresse. Eppure quella sentenza è il sigillo a una vicenda che, a suo tempo, fece vibrare di indignazione e di rabbia l’Italia intera: la vicenda della Costa Concordia e del suo naufragio sciagurato causato da un comandante scellerato, Schettino appunto. Come cambiano col tempo anche gli umori civili.
Di certo c’è che con la sentenza emessa ieri, la vicenda processuale di Francesco Schettino, a oggi unico imputato per il naufragio del Giglio, sembra prendere una piega definitiva. 16 anni e un mese di reclusione «per omicidio colposo, lesioni colpose, abbandono di incapaci e minori e naufragio colposo», era stata la condanna inflittagli in primo grado dal tribunale di Grosseto; e 16 anni e un mese è stata la condanna confermata in secondo grado dopo una camera di consiglio di otto ore. Una sentenza che non ha accolto la richiesta durissima della procura, 27 anni di carcere («Sentenza mite», ha commentato a caldo l’ex procuratore di Grosseto Francesco Verusio, mostrando comunque soddisfazione), ma che lo stesso colpisce profondamente l’ex comandante Costa, indicandolo come responsabile pressoché unico della morte di 32 persone e il ferimento di altre 110.
Già, Schettino. Anche ieri a Firenze non si è fatto vedere, preferendo restare chiuso in casa a Meta di Sorrento con la sorella, il fratello e la figlia e non scendendo nemmeno a prendere il caffè dopo aver visto l’assedio di cameraman e fotografi. Una scelta di basso profilo, la sua, decisa all’inizio del processo e mantenuta per tutte le dieci udienze del dibattimento.
«Stavolta non si farà massacrare dai media», avevano detto i suoi legali, convinti che la condanna di primo grado fosse frutto anche del comportamento guascone di Schettino, che dal momento del naufragio non si è mai sentito il comandante sciagurato che ha causato la morte di 32 innocenti, ma il fenomenale master & commander che, grazie alla sua abilità, ha salvato la vita a oltre 4.000 persone. Normale, se la se pensa così, dare vita nel foyer del Teatro Moderno di Grosseto a veri e propri show coi giornalisti che mandavano in bestia la procura e mal disponevano la stessa Corte.
Così stavolta, per evitare irritazioni, al posto di Schettino per tutte le dieci udienze in aula c’è stato un vecchio amico, un ex comandante in pensione che, telefonino alla mano, lo ha informato punto per punto su cosa stesse succedendo nel dibattimento. Non è servito. Così come non è servito l’arrivo di un nuovo difensore, quel Saverio Senese, protagonista di un’arringa al calor bianco contro tutti, dagli ufficiali in plancia al momento del disastro alla stessa procura, nel tentativo disperato di aprire la partita dell’«incidente organizzato». Non è servito nemmeno questo: 16 anni erano, e 16 anni sono rimasti. Solo l’interdizione dai titoli professionali marittimi (portata da 4 mesi a 5 anni) e le provvisionali per le parti civili sono state aumentate. «Una sentenza che ci delude», hanno detto i difensori.
Adesso Schettino per correggere il suo destino potrà sperare solo nella sentenza della Cassazione, attesa per l’autunno. Soltanto un colpo di scena potrebbe evitargli quella reclusione in carcere che, a oggi, sembra sempre più inevitabile. Triste finale di una vicenda che, ancora oggi, sa venarsi solo di tristezza.