Lo studio è stato condotto da Stefano Piccolo, docente dell’Università di Padova, e da Silvio Bicciato del dipartimento di Scienze Biomediche di Modena e Reggio Emilia. La scoperta consente di individuare fin da subito i tumori più aggressivi
Modena, 3 aprile 2009. Si chiama ‘p63’ ed è il gene capace di funzionare da ‘baluardo’ contro la diffusione metastatica delle cellule tumorali. È il risultato di uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Cell e condotto dai gruppi di ricerca guidati da Stefano Piccolo, docente del Dipartimento di Biotecnologie mediche dell’Università di Padova, e da Silvio Bicciato, ricercatore dell’ateneo patavino ora trasferitosi al Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia.
Il processo metastatico, attraverso il quale una cellula lascia il tumore primario ed entra nel sistema circolatorio per disseminarsi in altri organi è la principale causa di morte associata alla patologia neoplastica. Come ogni processo biologico, anche la metastasi dipende dalla coordinata accensione e spegnimento di decine, forse centinaia, di geni. Questo programma non viene inventato ‘de novo’ dalle cellule tumorali, ma fa parte del normale repertorio di cellule embrionali che, normalmente, durante la costruzione degli organi, sono stimolate a migrare da speciali segnali ormonali, quali i ‘TGF-beta’.
Le cellule tumorali metastatiche hanno semplicemente risvegliato questo ‘programma’. Fino ad ora si pensava che tale ‘recupero’ di capacità embrionali fosse un ‘superpotere’ ad appannaggio di pochissime cellule nel tumore primario. Lo studio segna ora una decisa svolta: i ricercatori hanno scoperto che lesioni genetiche comuni a molti tumori umani, quali quelle di ‘p53’ e di ‘RAS’, se combinate, definiscono una propensione a un comportamento metastatico già in stadi precoci della malattia.
Questo significa individuare fin da subito un tipo di tumore da trattare in modo più aggressivo attraverso chirurgia o altre terapie. I ricercatori hanno compreso come gli stimoli oncogenici erodono e progressivamente indeboliscono le proprietà antimetastasi di ‘p63’. «Questa è una proteina nota per svolgere un ruolo importante nelle cellule staminali di molti organi», ha spiegato Piccolo. «Se ‘p63’ – ha aggiunto – è persa da una cellula normale, ciò non causa alcun danno, perchè senza ‘p63’ quella cellula, semplicemente, muore. Ma se ‘p63’ è persa da una cellula staminale tumorale, ovvero da una cellula potenzialmente immortale, allora si apre la porta a un suo comportamento ‘asociale’ alla possibilità cioè di un suo spostamento e alla conseguente metastasi».
Secondo questa visione la metastasi sarebbe quindi un ‘sottoprodotto’ delle forze operanti per favorire la crescita del tumore primario. Una combinazione di geni mutanti, ma non altre, quasi incidentalmente definirebbe un tipo tumorale pronto per la metastasi, quasi, metaforicamente, sulla linea di partenza, in attesa del segnale di via fornito dal microambiente tumorale, spesso rappresentato dal fattore di crescita ‘TGF-beta’. Ma, come individuare quei tumori che partono con il ‘piede sbagliato? Per rispondere a questa domanda il gruppo guidato da Bicciato ha utilizzato i computer del ‘Progetto Biocomputing’, finanziato dall’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia nell’ambito del Finanziamento Linee Strategiche di Sviluppo dell’ateneo – Medicina Molecolare e Rigenerativa, per identificare un gruppo di geni ‘indicatori’ in grado di rilevare la presenza, o meno, del gene antimetastasi ‘p63’.
Sempre grazie all’utilizzo di metodi informatici hanno dimostrato, inoltre, che il livello di questi ‘marcatori’ molecolari può essere utilizzato per identificare, fin dalla diagnosi della malattia, quei pazienti il cui tumore ‘parte con il piede sbagliato’. «L’utilizzo clinico di queste nuove ‘spie molecolari’ – ha sottolineato Bicciato – permetterà all’oncologo la scelta della cura migliore, più personalizzata, ovvero quella che meglio si adatta alle forze genetiche che guidano l’avanzamento della malattia in un determinato paziente».
«Mi congratulo vivamente con Stefano Piccolo e i suoi collaboratori per l’importante ricerca pubblicata sulla rivista scientifica più prestigiosa in ambito biomedico. Tale ricerca – ha commentato il Preside della facoltà di Bioscienze e Biotecnologie dell’Università degli tudi di Modena e Reggio Emilia, Sergio Ferrari – aprirà sicuramente nuove prospettive per la messa a punto di strategie che consentiranno una diagnosi più efficace del potenziale metastatico dei tumori. Il risultato raggiunto dal team di Stefano Piccolo mi fa doppiamente piacere anche perchè ottenuto in collaborazione con Silvio Bicciato, da poco trasferitosi presso la nostra facoltà. Bicciato è pienamente operativo, infatti, presso la Sezione di Chimica Biologica del Dipartimento di Scienze Biomediche, grazie all’allestimento di un Laboratorio di bioinformatica finanziato, in accordo con altri Dipartimenti, dall’ateneo che ha ricevuto in proposito un significativo contributo dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena attraverso un progetto di Internazionalizzazione in collaborazione con il Weizman Institute of Science in Israele. È stato quindi un piacere invitare Piccolo a presentare per la prima volta queste sue ricerche proprio a Modena il 15 aprile in un seminario di facoltà aperto anche agli studenti e auspico una sempre maggiore collaborazione fra gruppi di eccellenza operativi in differenti sedi universitarie nazionali ed internazionali».
Lo studio è stato possibile anche grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, che ha individuato nei professori Piccolo e Bicciato i primi destinatari dei progetti di eccellenza avviati nel 2007.