Se un operaio ha 5 anni di aspettativa di vita in meno di un dirigente… (l’editoriale di David Oddone)

Mentre sul Titano è aperto il dibattito sulla questione pensionistica sollevata dai medici, in Italia un recente, e rallegrante, studio dell’INPS ha gettato luce (e tante ombre) sull’aspettativa di vita dei pensionati in relazione al reddito percepito.

I dati rivelano una discrepanza che evidenzia l’ingiustizia intrinseca nel sistema previdenziale italiano: chi percepisce una pensione più alta ha un’aspettativa di vita notevolmente superiore rispetto a coloro che ricevono un assegno meno generoso.

Il rapporto annuale INPS rivela che i pensionati maschi appartenenti al quintile di reddito più elevato hanno un’aspettativa di vita di circa 67 anni, ossia 2,6 anni in più rispetto ai pensionati che rientrano nel primo quintile di reddito, ovvero il più basso.

Una differenza che, tradotta in anni di vita, è significativa e spiazzante: un dirigente pensionato, facente parte del fondo speciale dirigenti (InpdaI), del quintile più alto, gode di una speranza di vita di quasi cinque anni in più rispetto a un pensionato impiegato o operaio (Fpld) del primo quintile!

È un dato sconcertante, soprattutto se consideriamo che questo divario non viene minimamente tenuto in considerazione nella determinazione della prestazione pensionistica.

La disparità nell’aspettativa di vita è un fatto innegabile – lo dicono i numeri – che fa emergere l’urgente necessità di rivedere il sistema di calcolo delle pensioni.

Attualmente, il sistema si basa su un coefficiente di trasformazione unico, il quale, come dimostrato dai dati, penalizza i pensionati con redditi più bassi, trasformando i loro contributi previdenziali in pensioni inferiori a quelle che dovrebbero ricevere in base alla loro effettiva aspettativa di vita. D’altro canto, i pensionati più abbienti beneficiano di pensioni più alte di quanto la loro aspettativa di vita suggerirebbe.

È allora indispensabile e urgente adottare una revisione sostanziale del sistema previdenziale, in cui l’equità sia la pietra angolare.

L’implementazione di coefficienti di trasformazione differenziati in base all’aspettativa di vita potrebbe rappresentare una soluzione, a mio parere.

L’equità nel sistema previdenziale è un argomento non secondario, sul quale si dovrebbe aprire una riflessione approfondita e prioritaria, con l’adozione di misure correttive adeguate anche nella Repubblica di San Marino.

Appare evidente come si debba puntare ad un sistema capace di fare sì che i pensionati ricevano prestazioni in base alle loro effettive esigenze economiche e all’aspettativa di vita, al fine di promuovere una maggiore giustizia sociale.

 

David Oddone

(La Serenissima)