Serbia, vince il partito del premier Vucic. Balzo dell’estrema destra

vucicLa formazione del capo del governo ottiene poco meno del 50 per cento. Gli ultranazionalisti russofili tornano in Parlamento a Belgrado. E potrebbero complicare il cammino del governo.

BELGRADO – Aleksandar Vucic, giovane leader incontrastato, premier serbo conservatore-europeista, scende sotto il 50 per cento ma comunque resta di gran lunga, col suo partito, prima forza e personaggio decisivo e incontrastato. Ha avuto, ma in parte, con il voto anticipato da lui scelto il via libera alla sua linea di priorità al tentativo di entrare nell’Unione europea. E adesso ha pur sempre in pugno il mandato per continuarlo. Ma con una forte ipoteca: la destra radicale russofila, nazionalpatriottica e anti-Ue è il secondo vincitore: torna alla grande in Parlamento, e sommando tutti i voti delle sue formazioni si profila come seconda forza del paese, sorpassando i socialisti alleati di Vucic nella coalizione uscente. Ecco secondo le prime proiezioni diffuse dall’attendibile radiotelevisione libera B92, decisivo media indipendente di Belgrado, i risultati delle attese elezioni politiche svoltesi oggi in Serbia.

Lo Sns, il ‘Partito del progresso’ di Vucic, otterrebbe il 49,90 per cento. E quindi secondo conti provvisori 145 seggi sui 250 della Narodna Skupstina, il Parlamento unicamerale. Insieme un calo e la conferma che il premier cercava per “chiudere col passato nero della Serbia, continuare nella via delle buone relazioni con l’amica russa e della neutralità, ma intanto puntare soprattutto alla scelta europea, a una Serbia moderna”. Con una partecipazione al voto attorno al 53 per cento, superiore alla media e alle elezioni precedenti, Vucic può tornare con un volto presentabile ma non di forza incondizionata al negoziato con Bruxelles e con Angela Merkel, la leader Ue che più lo appoggia.

Il secondo volto del responso elettorale è infatti importante: i partiti della destra nazionale russofila, soprattutto i Radicali di Vojislav Seselj, poi anche Dveri e il Dss, partito democratico, volano nelle proiezioni a un totale del 12,9 per cento, se sommiamo i Radicali al 7,8 – sempre secondo B92 – e Dss-Dveri al 5,1 per cento. Il blocco russofilo nazionalpatriottico sommato avrebbe quindi più dei socialisti di Ivica Dacic, alleato del premier nel governo uscente. Vojislav Seselj – falco dai tempi di Milosevic e delle guerre che portarono agli interventi Nato e alla sparizione violenta della Jugoslavia, fino ad allora potenza regionale con la monarchia e soprattutto con il maresciallo Tito – vive dunque un nuovo successo, nel suo trionfale ritorno in scena a sorpresa. Dopo quattro anni di detenzione, era stato assolto dall’accusa di complicità in crimini di guerra e rilasciato dal Tribunale internazionale dell’Aja. E come gli altri due partiti nazionalisti e russofili ha svolto una campagna elettorale imperniata sul no all’integrazione nella Ue, a patti strategici con Mosca, e a una politica sociale più attenta.

Quest’ultimo punto è il potenziale tallone d’achille del popolare Vucic. Non solo perché il sistema elettorale proporzionale puro dirà solo nei prossimi giorni di quanti deputati egli disporrà in Parlamento e se dovrà cercare anche altri alleati oltre ai socialisti, bensì per la situazione sociale pesante. Con una disoccupazione attorno al 20 per cento, e ben più alta tra i giovani, tagli, dure privatizzazioni e riforme imposti dalle impopolarissime richieste del Fondo monetario internazionale e della Ue in cambio del lungo negoziato d’adesione, il malcontento è programmato.

“Io comunque sono certo, adesso, che porteremo avanti il processo d’integrazione nell’Europa, mi proclamo vincitore”, ha detto in serata Vucic che vorrebbe concludere positivamente la trattativa con Bruxelles verso il 2020, “e come partner di governo accetterò solo forze europeiste, non farò nessun compromesso con la destra radicale”. Contrapposizione frontale dunque proprio con Seselj, che in passato era stato suo mentore e ispiratore. Vucic infatti fu ministro dell’Informazione ai tempi di Milosevic, poi membro dei Radicali di Seselj. Con cui poi ruppe, con una scissione clamorosa in nome di un conservatorismo europeista. L’adesione alla Ue, se il processo negoziale riuscirà, porterebbe alla Serbia i preziosi fondi di coesione, cioè gli aiuti di Bruxelles che hanno aiutato il volo di economie oggi dinamiche come quella cèca, polacca, ungherese o slovacca o persino romena. Ma i punti di contrasto restano: la Serbia di Vucic vuole restare militarmente neutrale, è contro ogni contrapposizione frontale con la Russia di Putin. E continua a non riconoscere l’indipendenza del Kosovo, difendendo la sua minoranza locale.

Il futuro delle scelte di Belgrado sarà influenzato anche da un fattore importante della presenza europea: il ruolo economico e politico del rapporto con l’Italia, primo partner economico e commerciale, dal manifatturiero

(Fiat Chrysler e altri big) alle banche e assicurazioni. Dall’Italia, paese membro del G7 e pienamente occidentale ma non antirusso, la Serbia riceve anche aiuti decisivi, persino di know-how tecnologico e software elettronico, nella lotta alla corruzione e al crimine organizzato.
La Repubblica.it