SONO AGITATE le acque nel C9 di Francesco, l’organismo dei nove cardinali scelti tra i porporati del mondo come suoi consiglieri per riformare nel profondo la Curia romana. Il consiglio si riunirà domani per riprendere la discussione sul nuovo assetto dei dicasteri ma al tavolo delle riforme si respira forte tensione tra due pesi massimi dell’entourage di Bergoglio, il segretario di stato, l’italiano Pietro Parolin e il prefetto della Segreteria per l’Economia, l’australiano George Pell.
LO SCONTRO interno è in atto almeno da quando Pell ha impegnato Parolin in un braccio di ferro per ottenere il controllo dei consistenti fondi a disposizione della segreteria di stato (centinaia di milioni di euro derivanti soprattutto dall’obolo di San Pietro) oltre che di tutte le altre voci di entrata del Vaticano. Obiettivo per il quale non esitò alla fine dell’anno scorso a rivelare la scoperta di un tesoretto extra-bilancio di 1,1 miliardi di euro grazie alla sua azione di neo sceriffo delle finanze. Con l’approvazione degli statuti della Segreteria per l’Economia, Pell ha visto però notevolmente ridimensionarsi il ruolo cui ambiva, passando da aspirante controllore e gestore dei bilanci a solo controllore. In sostanza, un super-revisore dei conti senza spazio di manovra su di essi. Un taglio delle unghie a quello che doveva essere il nuovo zar delle finanze vaticane che non ha stemperato le divisioni, al contrario. Nuovo fuoco alle polveri lo ha dato lo stesso Pell con i suoi affondi a fine agosto dal palco del Meeting di Cl con cui ha fatto riesplodere una polemica interna alle sacre stanze che ha visto momenti di scontro anche in riunioni alla presenza del Papa, piuttosto contrariato di vedere Pell accusare de visu e con piglio energico la Segreteria di stato di “disonestà” nella passata gestione finanziaria. Ma il ranger australiano che i rumors interni non danno più tanto vicino a Francesco non molla la presa. La sua uscita al Meeting sul pericolo di nuovi attacchi alla Chiesa derivanti dalle “irregolarità finanziarie” è stata letta come un nuovo attacco alla Segreteria di stato ora saldamente guidata e ricompattata da Parolin dopo l’era Bertone. Così la sua sottolineatura della necessità di avvalersi di esperti laici secondo alcuni mira a difendere il contestatissimo stipendio che ha assicurato al suo braccio destro Danny Casey reclutato da Sidney (cui ha fatto avere anche un appartamento in via della Conciliazione e un incarico alla moglie), uno degli onorari più alti pagati in Vaticano, 16mila euro mensili, comparabile solo con quello dei supermanager Renè Bruelhart presidente dell’Aif (circa 30mila) e del suo direttore, Tommaso Di Ruzza (circa 15mila) mentre il ‘piatto cardinalizio’, cioè lo stipendio dei porporati si aggira attorno ai 5mila spese comprese.
LE STOCCATE di Pell hanno piccato la Segreteria di stato promotrice già prima della sua venuta di una spending review che ha bloccato le assunzioni e stoppato gli straordinari. Il “moralizzatore” Pell va comunque avanti puntando ora a un adeguamento ai prezzi di mercato degli affitti degli immobili vaticani gestiti dall’Apsa. “Basta con affitti agli amici degli amici” a prezzi sottocosto, ha tuonato. Ma in Vaticano, visto l’alto numero di locali di prestigio sfitti, si chiedono chi mai per esempio pagherà i 20mila di canone richiesti per l’immobile lasciato ormai da due anni dalla filiale di una banca in zona San Pietro.
Fonte: REPUBBLICA