“Si torni al voto, la democrazia non può essere ostaggio del virus”

Giorgia Meloni fa sul serio. Nei piani della leader di Fratelli d’Italia c’è un solo scenario: il ritorno alle urne. Il tempo della fiducia nei confronti del Conte bis è ampiamente scaduto e di una riedizione in versione depotenziata non ne vuole neppure sentire parlare. Per dna non si fida dei tecnici, chiede un governo politico benedetto dalle urne.

Un concetto ribadito oggi dalla deputata Augusta Montaruli nel corso della presentazione del Libro nero del Coronavirus, scritto a quattro mani da Andrea Indini e Giuseppe De Lorenzo. “Noi di destra siamo nati pronti, mandare a casa questo governo credo sia l’unica cosa sensata da fare”, spiega la meloniana. Il messaggio è chiaro. “FdI non parteciperà a nessun governo che non passi dalle elezioni, neanche il coronavirus può impedirle, negli Usa – ricorda la Montaruli – il meccanismo elettorale è ben più complesso del nostro eppure in piena pandemia è stato eletto il presidente”.

Parole che arrivano al termine del dibattito moderato dal giornalista del Tg2 Luca Moriconi, che ripercorre la disastrosa catena di errori che hanno condotto il nostro Paese sin qui. Sono passati più di dieci mesi dalla scoperta del primo di positività accertato in Italia, quello di Mattia Maestri, 38 enne della provincia di Lodi, ma il governo continua a navigare a vista. Si continua con la politica delle chiusure in ordine sparso e delle conferenza stampa dell’ultim’ora. Sempre alla rincorsa di virus che non accenna a fermarsi.

“l libro si conclude con l’augurio che gli errori commessi nella prima fase potessero servire per ad affrontare la seconda, ma – ragiona Indini – il governo sta commettendo gli stessi passi falsi di allora”. È d’accordo anche De Lorenzo: “A distanza di tanti mesi non siamo riusciti a darci un metodo di contrapposizione al virus in grado di frenarlo”. Possibile che l’esperienza non abbia insegnato nulla? E ancora troppe sono le domande che non trovano risposta. A partire dalla prima: come è arrivato il virus a Codogno? È davvero l’Italia il primo Paese europeo dove il coronavirus ha messo radici? La Montaruli non è convinta: “Che l’Italia sia stato il primo Paese realmente colpito in Europa ho delle riserve”. “È stato comodo per una certa Europa raccontare che fossimo noi gli untori, un capro espiatore – sostiene la parlamentare – andava trovato”.

Un’ipotesi suggestiva messa in campo dai due autori è che il virus sia arrivato in Italia passando dalla Germania. Il 19 gennaio, come riportato in una inchiesta pubblicata da InsideOver, una dipendente cinese della Webasto Group, volata in Baviera per un meeting aziendale, infetta alcuni colleghi. “Due di loro – racconta Indini – sono andati in vacanza, uno alle Canarie e l’altro in Austria, c’è poi l’ipotesi di una terza persona che avrebbe soggiornato dalle parti di Codogno qualche settimana prima la scoperta del paziente uno”. Quelli erano i giorni in cui l’Italia pensava che il virus non l’avrebbe toccata. D’altronde anche l’Organizzazione mondiale della Sanità aveva preso la questione sottogamba. E infatti sconsigliava “l’applicazione di eventuali restrizioni di viaggio o commercio” e non raccomandava “misure sanitarie specifiche” per i viaggiatori, negando la possibilità della contrazione del virus da uomo o uomo.

Il governo si è crogiolato in quelle rassicurazioni e non si è attrezzato. Poi è arrivato il focolaio di Codogno, scoperto grazie all’azzardo della dottoressa Annalisa Malara, che decide di sottoporre Mattia al tampone, violando i protocolli sanitari. “Quel tampone la dottoressa lo realizza un po’ per caso un po’ per bravura, andando contro alle indicazioni che arrivavano dal Ministero della Salute e dall’Oms secondo cui – ricorda De Lorenzo – il test andava fatto solo a chi aveva viaggiato in Cina o aveva avuto contatti con persone rientrate dal Paese del Dragone”. Quando l’assessore al Welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera, dà notizia del primo contagio accertato, la situazione è già fuori controllo. “Le indagini sul focolaio di Codogno – rivela agli autori una fonte all’interno della task force della Lombardia – sin da subito hanno dimostrato che i casi si erano già propagati e che ormai erano arrivati troppo lontano”.

Mentre il virus si diffondeva indisturbato, l’opinione pubblica e la classe politica guardavano da tutt’altra parte, tanto che sono di quel periodo la campagna “Milano non si ferma” del sindaco Beppe Sala e l’aperitivo sui Navigli di Nicola Zingaretti. Eppure, qualcuno aveva tutti gli elementi per lanciare l’allarme. Stiamo parlando del Ministro Speranza e dei membri del Comitato tecnico scientifico che avevano visionato il famoso “Piano di organizzazione della risposta dell’Italia in caso di epidemia”. Un documento realizzato sulla base degli studi condotti da Stefano Merler, epidemiologo della Fondazione Bruno Kessler, che in buona sostanza aveva già previsto lo sfacelo. Quel piano arriva a Speranza il 20 febbraio: “Perché – domanda De Lorenzo – il Ministero della Salute ha deciso di tenerlo riservato? Perché non è stato condiviso anche solo con i governatori delle Regioni? Se qualcuno lo avesse letto forse le cose sarebbero andate diversamente”.

Un errore esiziale, come quelli di cui è lastricato l’intero percorso di questi mesi. “Ancora oggi – sostiene la Montaruli – il vero problema non è il Covid in quanto tale ma l’impreparazione, il lockdown doveva servire a prendere il tempo per organizzarsi affinché tutti avessimo gli strumenti per affrontare la pandemia: dall’ospedale fino alla singola attività economica”. Insomma ce n’è abbastanza per chiedere a gran voce un ritorno alle urne, sebbene manchi una legge elettorale adeguata al taglio dei parlamentari. “Siamo pronti ad andare al voto anche con la legge elettorale – conclude Montaruli – la democrazia non può essere tenuta in ostaggio né da una legge né dalla pandemia”.



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