«IERI la Francia ha conosciuto quello che noi stiamo vivendo in Siria da 5 anni – dice, non senza una certa spudorataggine, Bashar Assad –. Le politiche sbagliate degli stati occidentali e la loro ignoranza del sostegno dato da diversi loro alleati ai terroristi, sono le ragioni dietro l’espansione del terrorismo stesso. Va messo fine a questo appoggio logistico e politico».
Responsabile di una feroce repressione della sua gente e di violazione dei diritti umani, su un punto però Assad ha ragione: il movimento dell’Isis non è stato aiutato dal governo di Damasco ma da quei paesi arabi, inclusi Arabia Saudita e Qatar, che, insieme alla Turchia, hanno pensato di sfruttare e irrobustire gli estremisti islamici nella guerra per procura contro il regime siriano. Senza capire che loro, invece, stavano puntando solo al sanguinario califfato islamico.
FORSE anche per questo, ieri a Vienna, al tavolo del negoziato per la transizione che deve stabilire la ‘lista dei gruppi terroristi’ e quella di coloro che parteciperanno alla trattativa per la riconciliazione nazionale, il segretario di Stato americano, John Kerry, si è alzato dicendo: «Anche se esistono differenze sul futuro di Bashar Al Assad, oggi è stata trovata un’intesa che dovrebbe permettere l’inizio dei colloqui tra il governo siriano e l’opposizione a partire dal 1 gennaio del 2016, per arrivare ad un governo di transizione entro 6 mesi e a nuove elezioni sotto l’egida dell’Onu entro 18 mesi».
LA SVOLTA statunitense che, di fatto, accetta lo stesso Assad al tavolo del negoziato, è significativa e dettata dalla necessità. Non è chiaro che fine farà il presidente siriano dopo e se potrà essere ricandidato, ma secondo quanto sostiene il ministro degli Esteri russo Lavrov che a Vienna ha incontrato Kerry per un lungo e intenso bilaterale, «dovrà essere il popolo siriano a decidere il futuro di Assad e quello di tutti gli altri politici a Damasco».
NELLE tre dichiarazioni separate alla fine del
meeting, compresa quella dell’inviato speciale dell’Onu Staffan De Mistura, la condizione di fondo è l’entrata in vigore del ‘cessate il fuoco’ tra il governo siriano e i gruppi ribelli, per concentrare tutti gli sforzi contro le postazioni dell’Isis in Siria e in Iraq. I bombardamenti aerei russi o della coalizione guidata dalla Casa Bianca da soli non sono sufficienti a mantenere le posizioni sul terreno e a contenere eventuali esportazioni di mostruosi atti di terrore come quello di Parigi.
Serve un’azione di terra anti-Isis sia in Siria sia in Iraq e, senza Assad e l’Iran, non si può fare. Obama è partito per il G20 in Turchia ormai offuscato dalla strage di Parigi. Potrebbe diventare il G20 anti-terrore, con la definizione di un piano globale che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non è mai riuscito a realizzare.