A Bologna sono 5 volte oltre il massimo consentito. Ma tutta la regione è soffocata dalle polveri sottili. Ecco i preoccupanti dati della contentrazione delle famigerate Pm10 nell’aria, ricordando che il limite fissato dalla legge per tutelare la salute è di 50 microgrammi per metro cubo: Modena è a 207, Reggio Emilia a 201, Parma a 180) Meglio, di fa per dire, l’Emilia occidentale con i 127 microgrammi di Piacenza, che però è la provincia con la più lunga sequenza di sforamenti. Invece Ferrara e la Romagna si sono tenute attorno ai 150: 153 Rimini, 156 Forlì-Cesena, 150 Ravenna, 143 Ferrara. Tra le centraline, quella di Reggio-Timavo, ha registrato ieri il 22esimo sforamento dell’anno sulle Pm10, su un bonus annuale di 35. Modena-Giardini è arrivata invece a 21 sforamenti.
Dati davvero preoccupanti che, per fortuna, sono anche accompagnati da un netto peggioramento delle previsioni meteo. Nel fine settimana, infatti, dovrebbe arrivare la sospirata pioggia, l’unica che ha davvero il potere di ripulire l’aria (e aiutare anche le riserve idriche in grande sofferenza).
Eppure, uno studio ci segnala che in passato è andata anche peggio. Uno studio condotto da due ricercatori del Dipartimento di Ingegneria ‘Enzo Ferrari’ – DIEF dell’Università di Modena e Reggio, Grazia Ghermandi e Alessandro Bigi, che hanno completato il primo studio sinottico sulla variabilità e l’andamento di lungo periodo del Pm2.5 e del Pm10-Pm2.5 sull’intera pianura Padana: i risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista internazionale di settore, Atmospheric Chemistry and Physics (ACP) dell’European Geosciences Union. Relativamente al territorio di Modena (stazione Arpae Parco Ferrari) il Pm2.5 presso la centralina è diminuito di quasi un 5% annuo da ottobre 2007. Lo studio, considerevole per l’ampia estensione territoriale indagata, ha riguardato l’andamento delle ‘polveri fini’ (PM2.5), molto più piccole delle già terribili Pm10, e le polveri di grandezza compresa tra Pm2.5 e Pm10 (Pm10-Pm2.5) in tutta la Pianura Padana nel periodo 2006-2015: dalla provincia di Torino alla provincia di Padova, e da Asti a Rimini. Complessivamente sono stati esaminati i dati raccolti da 44 stazioni di misura Arpa presenti sul territorio di quattro regioni del Nord Italia ( Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto) e per la maggior parte collocate in parchi cittadini o zone residenziali, a parte alcune che si trovano presso incroci trafficati e/o in zone agricole. Tramite l’utilizzo di vari metodi statistici, i ricercatori modenesi hanno dimostrato come le concentrazioni siano calate presso la quasi totalità dei siti di misura, con punte fino al 8% annuo e come questo calo sia dovuto soprattutto a una diminuzione delle concentrazioni durante i mesi invernali. La variabilità settimanale, in particolare in estate, del Pm2.5 e del Pm10-Pm2.5 dimostra – per i ricercatori – una loro principale origine antropica.
Lo studio ha mostrato che la diminuzione del Pm10 precedentemente osservato è dovuta a miglioramenti tecnologici e riduzione delle emissioni gassose e di particolato, con effetto sia sul Pm2.5 che sul Pm10-Pm2.5. La natura antropica del Pm2.5 in Pianura Padana è confermata dal fatto che la sua diminuzione sia stata maggiore in zone urbane trafficate e si riduca verso le zone rurali. Tutto questo a fronte di una seppur notevole omogeneità delle concentrazioni di Pm2.5 su tutto il bacino. «Il calo mostrato dal Pm2.5 e dal Pm10 – Pm2.5 ci conferma – spiega l’ingegnere Alessandro Bigi di Unimore – che i miglioramenti tecnologici hanno contribuito alla diminuzione di questi due inquinanti e del Pm10 a prescindere dalla variabilità meteorologica. Il calo del Pm10 – Pm2.5 e il fatto che il Pm10 e il Pm2.5 abbiano concentrazioni sempre più simili, soprattutto in inverno, confermano come, per ridurre l’inquinamento da particolato – conclude lo studioso – l’attenzione si debba inevitabilmente spostare sempre più sulle emissioni gassose (per esempio ossidi di azoto e ammoniaca), emissioni che nelle tipica meteorologia invernale reagiscono contribuendo alla metà o più del Pm2.5».
«Una sfida per le municipalità della pianura Padana – sottolinea Grazia Ghermandi, docente di Ingegneria Sanitaria Ambientale presso Unimore – dato che alte concentrazioni di polveri fini possono rappresentare un rischio per la salute umana».