Social media e salute mentale dei giovani: c’è un legame? (di David Oddone)

Social network e salute mentale dei giovani: un legame complesso e controverso. Negli ultimi anni, la voce del dottor Vivek Murthy, capo chirurgo degli Stati Uniti, si è levata con forza per denunciare l’impatto preoccupante dei social media sul benessere psicologico degli adolescenti. Dell’argomento se ne è occupata di recente la stessa Cnn. Richiamando l’urgenza di un’azione concreta, Murthy ha proposto l’introduzione di un’etichetta di avvertimento simile a quelle presenti sui pacchetti di sigarette, per mettere in guardia genitori e ragazzi dai potenziali rischi associati all’utilizzo smodato di queste piattaforme.

Ma quanto c’è di vero in tale correlazione? La scienza, come spesso accade, non offre risposte univoche. Un recente studio pubblicato su JAMA Pediatrics, analizzando circa 150 ricerche, ha rilevato un’associazione generale tra tempo trascorso sui social e aumento di ansia e depressione negli adolescenti. Tuttavia, l’entità di questo impatto varia considerevolmente da individuo a individuo, rendendo difficile stabilire una relazione di causa ed effetto diretta.

Altri esperti, come il dottor Sandro Galea della National Academies of Sciences, sottolineano la necessità di ulteriori studi longitudinali. L’obiettivo? Seguire nel tempo gli stessi ragazzi per monitorare l’evoluzione della loro salute mentale in relazione all’uso dei social media. Solo così potremo ottenere dati più solidi e comprendere a fondo le dinamiche in gioco.

Nonostante le incertezze scientifiche, Murthy rimane fermo nella sua convinzione. Citando studi che mostrano un aumento di ansia e depressione tra gli adolescenti che trascorrono più tempo sui social, ribadisce l’urgenza di intervenire. “Nella scuola di medicina ho imparato che in un’emergenza non si può aspettare la perfezione”, afferma con decisione. “La crisi di salute mentale tra i giovani è un’emergenza, e i social media sembrano esserne un fattore importante”.

Ma un’etichetta di avvertimento basterà davvero? L’opinione pubblica è divisa. Molti esperti concordano con Murthy sulla necessità di aprire un dibattito serio sul tema, ma invitano alla cautela. Le soluzioni, infatti, non possono limitarsi a semplici restrizioni. I social media, se usati correttamente, possono rappresentare un importante strumento di connessione e socializzazione, soprattutto per i più giovani.

Come sottolinea Pamela Wisniewski, esperta di interazione uomo-computer, “Dobbiamo insegnare ai giovani a massimizzare i benefici dei social riducendo i rischi”.

Dialogo aperto e informazione costante sono gli ingredienti chiave. La dottoressa Jenny Radesky, dell’Accademia Americana di Pediatria, ribadisce l’importanza del dialogo in famiglia: “Servono conversazioni frequenti e aperte per promuovere un uso sano dei media”.

L’obiettivo di Murthy è comunque ambizioso: una strategia olistica che includa cambiamenti nelle piattaforme, interventi legislativi a supporto e, come elemento informativo, l’etichetta di avvertimento. “Non è una questione di mancanza di volontà o cattiva genitorialità”, conclude con forza, “ma della necessità di regole di sicurezza in un mondo digitale che non le contempla”.

Il dibattito è destinato a proseguire. Mi inserisco nel dibattito facendo presente come si debba tenere anche presente la questione non proprio di lana caprina, né secondaria, che riguarda la libertà di espressione.

Allo stesso modo, senza nulla togliere, ai cosiddetti esperti, basta avere un figlio per rendersi conto di come i social possano diventare molto nocivi.

Ha ragione da vendere Murthy. Non si può più restare inerti di fronte a colossi, mossi da logiche di profitto smisurato, che sfruttano sapientemente le debolezze umane per incollare gli utenti agli schermi. Algoritmi studiati a tavolino creano dipendenza, propongono in molti casi contenuti mirati all’innesco di emozioni negative che alimentano una cultura dell’immagine distorta e irraggiungibile.

Ecco allora che l’etichetta di avvertimento, in questo scenario, appare quasi una beffa. Un messaggio impotente di fronte a un sistema progettato per manipolare e sfruttare.

Serve un cambio di paradigma radicale, così come soluzioni efficaci per garantire un futuro digitale sicuro e consapevole alle nuove generazioni.

 

David Oddone

(La Serenissima)