C’è un libro fra le cui pagine circolano alcune delle riflessioni più inquietanti che siano mai state fatte sulle persecuzioni razziali. E’ “La storia” di Elsa Morante che ha disseminato qua e là tali riflessioni in tutti i suoi libri. Al centro del racconto è la Roma del periodo fascista ma sono le voci e i pensieri del popolo a farsi sentire con maggior nitidezza. Gli ebrei allora non credettero di essere davvero in pericolo o comunque si sforzarono molto per far finta di non crederci. “Tante notizie erano invenzioni della propaganda – pensavano. E poi, in Italia certe cose non potrebbero mai succedere”. “Confidavano nelle amicizie importanti dei Capi della Comunità o del Rabbino; nella benevolenza di Mussolini verso gli Ebrei; e addirittura nella protezione del Papa (mentre i papi, in realtà, nel corso dei secoli, erano stati fra i loro peggio persecutori)”. Le amicizie messe alla prova dei fatti non si rivelarono poi così solide e importanti. Unico luogo in Europa dove si tenne fede a quelle amicizie e si fece di tutto per non tradirle fu San Marino che, con straordinario coraggio, riuscì a dare riparo a moltissimi ebrei le cui storie sono state raccontate tra gli altri, dalla Fondazione Valori Tattili che ne ha dato ampio conto tramite le proprie ricerche. I legami che vennero tessuti durante il periodo terribile delle persecuzioni sopravvivono ancora oggi, basti pensare al Colorificio Sammarinese che fu fondato grazie al rag. Guizzardi di Bologna il quale si trovava a San Marino perché qui si era rifugiato con la moglie ebrea. Si era allora come animali del deserto quando cercano di coprire le proprie tracce al fiuto nemico. Trovare salvezza non era facile perché offrire aiuto significava rischiare di perdere la vita. E tuttavia essere uomini voleva dire correre quel rischio. Non sono pochi gli esempi di persone che corsero il rischio più atroce e non deve sorprendere se di quelle azioni piene di eroismo spesso non sopravvive nemmeno la memoria, il tratto tipico di chi le compie è del resto quello di non vantarsene. Forse è anche questa una delle ragioni per cui l’eroismo dei sammarinesi è rimasto per tanto tempo una pagina di storia inedita. Ne sono emerse altre nell’ultimo periodo. Era per esempio ancora inedito il romanzo “Storia di un’ebrea” di Annah Arendt uscito in questi giorni per i tipi del Saggiatore. Ed è fresco di stampa anche “L’Amore Salvato” di Olga Mattioli, il romanzo che prende le mosse da una storia vera che si sviluppa tra Mantova, Milano, Riccione e purtroppo Auschwitz, il luogo dove verrà sterminata la famiglia della protagonista che per questo non troverà mai pace e che alla fine deciderà di non essere in grado di vivere la sua nuova vita. “La mia famiglia – si legge nel libro – ha sempre rappresentato per me l’eternità ed io non ho davvero mai immaginato di vivere lasciandomi loro alle spalle”.
Clelia, la protagonista del libro, non desidera essere salvata e sempre rinfaccerà a Giovanni, l’uomo che prima la mette al riparo e poi ne fa la sua sposa, di aver giocato a nascondino mentre i suoi prendevano involontariamente parte alla grandiosa festa della morte. Una volta libera infatti della sua nuova felicità, la vita con Giovanni e il loro figlio Maurizio, non saprà che farsene e preferirà piuttosto lasciarsi andare alla morte. Si era abbandonata come in un mare all’amore del suo salvatore ma ossessionata com’era dalla morte dei suoi cari non aveva trovato la forza di nuotare fino all’altra riva e aveva finito per lasciarsi inghiottire. “La felicità più nobile sulla faccia della terra – scrive la Arendt – è continuare a vivere, nonostante le cose di cui si è derubati”. Un’altezza di spirito che la protagonista de L’Amore Salvato non ebbe. Quanti ebrei non riuscirono a vivere la propria vita dopo aver sperimentato i campi o la morte dei propri cari? Lei che aveva fatto tutto per dimenticare “ma che ora che ci riusciva era ancora peggio. Vi era in lei qualcosa di perfettamente immobile, di perfettamente doloroso, di perfettamente irrimediabile”.
Michele Cucuzza, Direttore di Repubblica Sm