Spunta un “pizzino” tedesco dietro l’ultima mossa di Conte

Da molte parti ci si è chiesti perchè Giuseppe Conte abbia sottratto ai partiti il controllo dell’agenda politica sul Recovery Fund. E sulle motivazioni che hanno portato il premier a intestarsi la manovra che ha organizzato la proposta di cabina di regia per controllare l’assegnazione dei progetti da vidimare con i fondi europei. Fonte di una grande fibrillazione interna alla maggioranza: Italia Viva, in particolare, ha attaccato il premier ventilando profili di incostituzionalità nella cabina di regia formata da sei manager e coordinata dal premier, da Roberto Gualtieri e da Stefano Patuanelli che dovrà guidare i progetti verso l’approvazione.

Incostituzionalità che, a ben guardare, sembra tutto fuorchè esclusa, per quanto il ministro degli Affari Europei Enzo Amendola abbia sottolineato che si tratterebbe di un pre-requisito richiesto dall’Unione Europea. Ma appare riduttivo inquadrare la scelta nel contesto del semplice desiderio di Conte di muoversi ostinatamente in solitaria e nella volontà di concetrare sul governo le prerogative fiscali ed economiche condivise col Parlamento, blindando così Palazzo Chigi. Motivazioni politiche ben più complesse sottendono a una decisione su cui la maggioranza rischia di rompersi.

Come sottolinea Italia Oggi, mentre “i tecnici di palazzo Chigi e del Mef continuano a difendere strenuamente la struttura ipotizzata dal presidente del Consiglio per la gestione del Recovery fund (task force)”, fonti vicine ai dossier strategici del governo segnalano che la manovra di Conte abbia una “madrina” straniera, l’ineffabile cancelliera tedesca Angela Merkel.

Cosa c’entra la cancelliera? Innanzitutto, la Merkel è la vera padrona dei destini del Recovery Fund. Su iniziativa del suo accordo con Emmanuel Macron è nato il piano europeo da 750 miliardi di euro che, nei tempi dettati dalla Germania e con le condizionalità adatte a accontentare i rigoristi del Nord, ha aperto alla realizzazione del debito mutualizzato. Tale proposta sarebbe stata offerta a Conte dietro una duplice garanzia: “l’approvazione del Mes (riforma e sanitario) e una struttura speciale per la gestione dei fondi europei in modo da garantirne il corretto utilizzo (ovvero niente «uso politico» da parte partiti)”. Il rischio politico per la Merkel è un aumento delle voci critiche in Germania e una “svolta olandese” dell’opinione pubblica con il ritorno della retorica anti-italiana e ostile agli “spendaccioni” Paesi mediterranei.

E non è un caso che proprio di fronte al rischio di un fallimento di queste due garanzie nelle ultime settimane in Europa stia aumentando la pressione politica e mediatica sul governo giallorosso. Giovane Faust che in nome dell’europeismo ha sacrificato ogni strada alternativa per assicurarsi la sopravvivenza politica e che proprio dai suoi patroni europei inizia, gradualmente, a esser scaricato. La Germania, strategicamente, attende fiduciosa una svolta favorevole a Roma e spera che Conte possa, in ultima istanza, far passare la sua linea di fronte alle resistenze renziane sul Recovery Fund e al pressing pentastellato sul Mes; la commissione von der Leyen ha, nel frattempo, aperto procedure di infrazione sulle concessioni balnearie e i porti come ulteriore, possibile, mezzo di pressione che rischiano di escludere turismo e portualità dalle aree su cui l’Italia potrà attingere ai fondi del Recovery.

Il nodo centrale è la perenne ricerca di legittimazione esterna da parte del presidente del Consiglio. Che proprio mediando ai tavoli europei ha conseguito un consenso parallelo a quello dei partiti che sostengono la sua maggioranza e che ora teme, una volta di più, di passare per un leader incapace di mantenere le promesse. Dal punto di vista tedesco, un Recovery Fund condizionato a una “terzietà” della politica italiana è coerente con la (stucchevole) linea critica verso il nostro Paese. Dal punto di vista italiano, la voce se confermata rappresenterebbe un cedimento insostenibile per la credibilità politica di Conte. E un tracollo del mito del “prestigio europeista” del nostro esecutivo.

Ma la teoria che vede Conte aperto a questa linea, che dà una spiegazione per il muro contro muro con il piccolo partito liberale di Matteo Renzi, peraltro europeista di ferro, può spiegare perché la maggioranza stia avendo maggiori difficoltà sul dossier Recovery rispetto che sul Mes. Ma la questione più triste è notare come nel nostro Paese il dibattito maggiore sia su chi debba gestire i fondi, non sul come impegnarli a sostegno di una politica nazionale di lungo periodo. Peggio del “vincolo esterno” c’è il vincolo interno: il rifiuto della politica di pensare a un’idea di Paese. Che Conte, leader desideroso solo di succedere perennemente a se stesso e conservare Palazzo Chigi, incarna alla perfezione.

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