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  • Suore di clausura a Pienza, ‘Epurate senza sapere il perché’

    (ANSA) – PIENZA (SIENA), 25 FEB – Questa “è un’epurazione
    senza motivi ufficiali: vogliamo capire di cosa siamo accusate”, “non vi sono atteggiamenti disallineati ma piuttosto vi è
    legittimo esercizio dei diritti che lo stesso diritto canonico
    riconosce”. Lo scrivono le 13 suore benedettine del monastero di
    clausura di Pienza dopo la diffida della diocesi di
    Montepulciano che le accusa di “comportamenti disallineati con
    la loro scelta di vita”. Le suore avevano espresso critiche su
    alcuni provvedimenti decisi per loro alla Santa Sede, fra cui il
    trasferimento della madre superiora. Oggi rendono noto di aver
    fatto ricorso in Vaticano contro le sanzioni decise a Roma.
        Scrivono che “la professione religiosa perpetua non priva chi la
    emette né della voce né della ragione” e che “l’obbedienza è un
    ossequio dell’intelletto e della volontà ai comandi legittimi e
    secondo giustizia, non cieca e supina subordinazione a comandi
    arbitrari”. “In pratica siamo oggetto di provvedimenti di
    punizione senza che sia spiegato qual è il comportamento per cui
    saremmo state sanzionate. Se si considera che le punizioni sono
    severe perché comportano l’allontanamento dal monastero e
    finanche dalla vita monastica, appare mortificante accettare una
    punizione senza nemmeno sapere perché si viene puniti”. Le suore
    sottolineano che le sanzioni sono state decise con decreti del
    Dicastero vaticano per gli istituti di vita consacrata. Atti che “dispongono misure contro il monastero, l’abbadessa e la
    priora”, “il Dicastero, dal nulla, senza alcuna motivazione
    dispone per l’abbadessa un allontanamento (è
    l’”esclaustrazione”) per un triennio senza sostentamento e
    restando formalmente monaca, e per la priora un trasferimento di
    un anno”. Tali provvedimenti “sono privi di motivazioni e
    viziati nella procedura, sono misure non proporzionate. Per tale
    motivo sono oggi oggetto di legittimo ricorso presso l’autorità
    che li ha emessi”. (ANSA).
       


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