
Forse perché con un paradiso offshore non si dialoga … «Certo la storia ci ha compromesso, ma da alcuni anni non è più così. Ci stiamo adeguando agli standard internazionali. Abbiamo fatto pulizia. Le fabbriche di fatture false sono un reato penale anche qui. Le faccio un altro esempio: se avessimo firmato il memorandum sulla vigilanza consolidata, Carim non sarebbe stata commissariata».
Non è una lettura un po’ di maniera? «No, davvero non capisco tutta questa acredine. Tra l’altro i numeri dello scudo fiscale hanno dimostrato che siamo un piccolo pesce nel mare dell’evasione e dell’elusione. Per questo dico: non si può sparare a una mosca con un cannone cannone. A meno che non si voglia mettere in forse la sovranità di San Marino, ma 1700 anni di storia e di autonomia andrebbero rispettati».
Quali sono i rischi per il vostro sistema bancario? «Anche noi che siamo solidi abbiamo accusato la tenaglia crisi economica e stretta di Roma: quest’anno siamo a -20% di raccolta. Abbiamo dovuto accorciare la leva e insieme diventare banca di sistema per prestare soldi agli altri istituti locali in difficoltà. Questo sottrae risorse per famiglie e imprese e pone un problema sistemico di liquidità».
Però la sfida è obbligata. Cambiare o morire. «E’ una sfida che accogliamo in pieno. Sappiamo che il nostro sistema può svilupparsi in futuro solo sfruttando la flessibilità fiscale. Aziende che scelgono San Marino per essere più competitive, non per nascondere traffici o soldi neri. Ma per farlo dobbiamo essere liquidi per poter fare credito all’innovazione e agli investimenti».
La Stampa