
C’è stato davvero un aumento vertiginoso dei prezzi rispetto a quelli del mercato? Per quale motivo sarebbero lievitati? Sono queste le domande, relative all’emergenza Coronavirus che ha travolto il nostro Paese, su cui è doveroso fare chiarezza. L’edizione odierna del Corriere della Sera riferisce che i tamponi sarebbero stati pagati la bellezza di 750 euro l’uno: i riflettori sono puntati sui primi 200 test dell’Istituto superiore di sanità, ovvero quelli all’inizio della pandemia.
Il quotidiano fa notare che in quel periodo “sul mercato non si andava oltre i tre euro“. Ecco spiegato il motivo per cui la domanda sorge spontanea: perché si sarebbe arrivati a quella cifra così alta? Tra le posizioni stralciate da Bergamo e inviate alla Procura di Roma ci sarebbe anche quella per truffa aggravata ai danni dello Stato. In particolare a giocare un ruolo fondamentale sarebbe una mail risalente al 26 febbraio 2020, il cui contenuto parlerebbe chiaro e sarebbe meritevole di chiarimenti.
A mandarla sarebbe stata Tiziana Coccoluto (vice capo di gabinetto del ministero della Salute) ad Angelo Borrelli (allora capo della Protezione civile). “Facendo seguito alla mail in calce, ti inoltro una sintesi delle risorse necessarie per l’attuazione dello schema di ordinanza in oggetto, come stimate dall’Istituto superiore di sanità“, sarebbe il contenuto del testo in questione.
Nell’allegato, facendo riferimento all’esame dei campioni biologici trasmessi dai laboratori regionali, si rappresenterebbe che “dall’esecuzione dei primi 200 test da parte dell’Istituto superiore di sanità emerge che gli oneri per il predetto numero di test è pari a 150.000 euro“. E il prezzo sarebbe lo stesso pure per la partita successiva: “Seicentomila euro lordi per un fabbisogno di 800 test“. Il riferimento sarebbe a un’ordinanza che avrebbe consentito spese fino a 5 milioni di euro “senza previa pubblicazione di bando“.
Ovviamente saranno necessarie ulteriori indagini, doverose per fare chiarezza e verificare davvero quanto accaduto in quel periodo. Come riportato dall’Adnkronos, sul punto sarebbero state richieste informazioni all’azienda ospedale – Università di Padova: sarebbe stato comunicato che nel febbraio-marzo 2020 veniva prevalentemente usato un tipo di test, con un “costo industriale unitario pari, allora, a 2,82 euro“.
Dunque le indagini sul Covid-19 non riguardano solamente la mancata zona rossa ad Alzano e Nembro. Proprio nei giorni scorsi la procura di Bergamo ha trasmesso un fascicolo a Roma con una decina di indagati, motivato dalla competenza territoriale: nello specifico gli atti riguarderebbero il mancato aggiornamento del piano pandemico. Si contesterebbe l’omessa istituzione/rinnovo del Comitato nazionale per la pandemia.
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