
(ANSA) – ROMA, 14 OTT – “Quando da piccolo mi chiamavano lo
gnomo e non mi volevano far giocare con quelli più grandi, papà
insisteva. Loro cedevano, poi mi vedevano giocare e volevano
rifare le squadre. Io zitto, muto, ma orgoglioso. Papà, forse,
ancora più di me”. Francesco Totti si confessa in un’intervista
a ‘Vanity Fair’ realizzata prima della morte del padre Enzo, in
edicola oggi, a pochi giorni dall’uscita del suo docufilm “Mi
chiamo Francesco Totti”. Che cosa è davvero importante per lo
storico capitano? «Oltre i figli, la famiglia, le cose che
contano davvero? La parola data. Non servono firme, contratti o
avvocati. Basta una stretta di mano. Basta guardarsi negli
occhi. Certe cose me le hanno insegnate fin da quando ero
bambino e io a certe cose credo ancora».
L’ex capitano della Roma ricorda il suo passato, di come ha
affrontato il difficile ritiro dai campi da calcio e il suo
rapporto con Luciano Spalletti. «Stringergli la mano? Nel calcio
si sbaglia, sbagliamo tutti. Diciamo che dovrei capire in che
luna sto quel giorno, come mi sveglio, se sono di buon umore».
Alla domanda se farebbe mai l’allenatore, Totti risponde:
«Sarebbe impossibile. Impazzirei. Sono uno che vuole sempre il
massimo e pensa che certi errori in serie A non si possano fare.
Dovrei diventare severo, aspro, antipatico. Se non ci nasci,
figlio di mignotta, non ci diventi». Chiusura sul giorno del
ritiro dal calcio: «Sapevo che prima o poi quel momento sarebbe
arrivato, ma ho iniziato a considerare l’ipotesi solo
nell’ultimo anno. Nella stagione precedente avevo capito che non
avrebbero voluto rinnovarmi il contratto: però, poi, ogni volta
che subentravo cambiavo le partite e facevo goal. Dopo quella
con il Torino, dove entrando a 4 minuti dalla fine ne feci due,
me lo rinnovarono a furor di popolo. Mi sarei dovuto ritirare in
quella sera perfetta, dopo l’apoteosi, come mi suggerì Ilary e
ci pensai anche. Poi dopo una notte insonne decisi di
continuare, ma il rapporto con lui purtroppo era già
compromesso». (ANSA).
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