“La famiglia del magistrato ha invitato il presidente della Regione Crocetta a non presentarsi perché non gradito”.
Più triste che mai questo anniversario della strage Borsellino. Per il mistero dell’agghiacciante telefonata del medico di Crocetta, certo, ma anche e soprattutto per le immediate conseguenze concrete che il caso ha determinato: l’invito di Rita Borsellino, sorella del giudice antimafia assassinato il 19 luglio 1992, rivolto allo stesso Crocetta, a ‘non presentarsi alle manifestazioni di via D’Amelio perché persona non gradita’. Una cosa enorme: si ricorda uno dei nostri eroi campioni della lotta per la legalità contro le cosche e i loro protettori, trucidato con un’auto-bomba insieme ai cinque agenti della scorta, e non è ammesso alla commemorazione il numero uno delle istituzioni siciliane, colui che dovrebbe essere di per sé espressione della stessa ispirazione che guidava Borsellino (costata la vita a lui come a Falcone e a tutti gli altri morti ammazzati per mano di Cosa nostra). E non succede nulla.
Il governatore, che per ora ha fatto tutto da sé, autosospendendosi, medita se dimettersi o no, mentre la politica decide di non decidere. E non soppesa abbastanza la scandalosa circostanza dell’alt a Crocetta da parte della famiglia Borsellino, ultima spia di un’emergenza legalitaria che in Sicilia sembra non avere fine (I due precedenti governatori , Lombardo e Cuffaro, sono stati entrambi condannati, rispettivamente per concorso esterno e per favoreggiamento della mafia, il secondo in Cassazione).
Rischiamo di abituarci al peggio? Sembrerebbe: già il 2 luglio, Lucia Borsellino, figlia di Paolo, si era dimessa da assessore regionale della stessa giunta Crocetta (dopo l’arresto del primario presunto autore della frase choc nei suoi confronti: ‘va fermata, fatta fuori. Come suo padre’), vale a dire prima ancora che l’intercettazione fosse pubblicata dall’Espresso, sostenendo che ‘vari accadimenti hanno aggredito la credibilità dell’istituzione sanitaria che sono stata chiamata a rappresentare e, quindi, della mia persona.. ragioni di ordine etico e morale e quindi personale sempre più inconciliabili con la prosecuzione del mio mandato’. Parole pesantissime, dimissioni altrettanto gravi (parliamo
della figlia di Borsellino). ‘Che sta vivendo un calvario’, ha detto tra le lacrime suo fratello Manfredi, davanti al presidente Mattarella.
Intanto la politica, che per mesi aveva osannato lo streaming ( il tutto e subito in diretta) è sempre lì, arenata tra le ‘meditazioni’, i ‘potrei dimettermi’ di Crocetta, i dubbi di chi ammette che siamo arrivati ‘all’antimafia da operetta’ ma non ritiene sia venuto il tempo di staccare la spina malgrado, come scrive Attilio Bolzoni su ‘Repubblica’, ‘sotto le bandiera della legalità, mafiosi e prepotenti negli ultimi anni si sono presi un’intera isola’.
Rischiamo di abituarci al peggio? Il dubbio è più che legittimo. Basterebbe pensare al ruolo che ricoprono gli assessori ‘alla legalità’ nelle amministrazioni regionali e comunali italiane (Roma compresa, dov’è incaricato un magistrato integerrimo come Alfonso Sabella ): ce ne sono a decine, con nomine pleonastiche si direbbe (dovrebbe essere ovvio che un’amministrazione operi in trasparenza).
Sarebbe come dire – fatte le debite proporzioni – che in biblioteca c’è chi controlla che quelli esposti negli scaffali siano effettivamente libri, e a scuola chi verifica che le aule siano frequentate da veri studenti e insegnanti. Paradossi, certo. Che tuttavia non ci impediscono di invocare, seriamente, una politica più all’altezza e meno esposta alle infiltrazioni.
Michele Cucuzza