In Turchia si sono chiusi i seggi per le nuove elezioni anticipate a meno di cinque mesi dalle precedenti. I turchi chiamati alle urne sono 54 milioni. L’appuntamento elettorale si è reso necessario dopo il voto del 7 giugno che ha visto l’Akp, il partito del presidente, Recep Tayyip Erdogan, perdere la maggioranza assoluta per la prima volta dal 2002. Le trattative per un governo di coalizione sono fallite, spingendo il presidente a convocare nuove elezioni.
Non sono previsti exit poll, e i primi risultati parziali sono attesi per le 19, ora italiana.
L’escalation di violenze nel Paese e l’acutizzarsi della crisi nella vicina Siriarendono il voto ancora più cruciale ai fini della stabilità. Erdogan, d’altra parte, ha più volte ribadito la sua assoluta preferenza per un governo formato da un unico partito, facendo riferimento alle tensioni che hanno attraversato il Paese negli ultimi mesi ha ripetuto con insistenza che “l’instabilità” è il prezzo da pagare in caso i risultati siano gli stessi di 5 mesi fa e si rendesse necessaria una coalizione.
Il governo turco, subito dopo l’apertura delle urne, ha fatto sapere di aver ucciso ieri oltre 50 membri dell’Is in Siria e di averne feriti una trentina, distruggendo almeno 8 postazioni, 5 chilometri oltre la frontiera siriana. Un annuncio che ha un preciso significato nel clima elettorale: un modo per dimostrare che il governo fa sul serio nella lotta allo Stato islamico.
Tensione alle stelle. La ripresa degli scontri con il Pkk, gli attentati contro attivisti filo curdi a Suruc e Ankara, le crescenti tensioni con la Russia al confine siriano, il flusso di profughi dalla Siria, le pressioni sui media di opposizione, culminate con la chiusura di due canali televisivi e due giornali di opposizione avvenuta questa settimana, hanno contribuito ad alimentare il dibattito politico e a inasprire i toni e il clima tra i partiti in corsa. E a far nascere sospetti di brogli elettorali.
In attesa del comizio del premier Ahmet Davutoglu, atto di chiusura della campagna elettorale, il cui termine è previsto per oggi alle 17 locali, per l’Akpha parlato il vice premier Yalcin Akdogan, assicurando che “ogni tentativo di influire sul voto sarà punito” e definendosi “fiducioso sull’organizzazione dei partiti e della società civile”. L’Akp lo scorso 7 giugno ha ottenuto il 40,8% dei voti.
I repubblicani del Chp, “unico partito che può risolvere il problema sicurezza” secondo il segretario Kemal Kilicdaroglu ha designato 500 mila di rappresentanti di lista “per controllare la regolarità del voto nel giorno in cui verrà abbattuto il sultanato”. I repubblicani hanno predisposto presso la propria sede un apparato informatico per il conteggio dei voti con un software assai simile a quello usato dall’Autorithy per le elezioni. Il Chp 5 mesi fa si è attestato al 24,9%.
Intanto però i filo curdi dell’Hdp, che lo scorso giugno a sorpresa superarono la soglia del 10% ottenendo 80 seggi in Parlamento grazie al 13,1% dei voti, denunciano l’arresto di alcuni dei rappresentanti di lista nelle provincie del sud-est del Paese in questi ultimi giorni. Infatti, in base a quanto riportato da un rapporto dell’Osce “la campagna elettorale è stata condizionata da misure di sicurezza e coprifuoco in alcune provincie a maggioranza curda, in alcune aree dei seggi sono stati rimossi”. Il presidente Erdogan, ha definito tali misure necessarie poichè il gruppo terroristico del Pkk farebbe pressioni sulla gente affinchè voti il partito filo curdo. Nonostante le difficoltà non si nasconde il segretario Selattin Demirtas : “La soglia del 10% non è in dubbio, vogliamo diventare terzo partito del Paese”.
I nazionalisti dell’Mhp hanno anche loro designato 500 mila rappresentanti di lista e attraverso il segretario Devlet Bahceli, hanno attaccato Erdogan, definito “ormai delirante”, dopo che il segretario nazionalista aveva polemicamente rimosso dal tavolo della conferenza stampa il microfono della tv di stato Trt. Lo scorso 7 giugno i nazionalisti hanno ottenuto il 16,2% dei voti Ai rappresentanti di lista vanno aggiunti circa 385 mila membri delle forze dell’ordine, schierati per garantire la regolarità del voto.
I numeri. Gli elettori registrati sono più di 54 milioni su una popolazione di quasi 78. Altri 2,9 milioni di elettori sono registrati all’estero. Il voto si svolgerà in 175mila stazioni elettorali dalle 7 alle 16 (ora locale, le 14 in Italia) nell’est e dalle 8 alle 17 (ora locale, le 15 in Italia) nell’ovest. Il Parlamento di 550 seggi dura in carica 4 anni e viene eletto in base a un sistema proporzionale di liste in ognuno degli 81 distretti. Per superare lo sbarramento, occorre ottenere almeno il 10% dei voti, soglia ritenuta molto alta da diversi analisti. Dopo le ultime violenze, è previsto un massiccio spiegamento di forze di sicurezza, con almeno 255mila poliziotti e 130mila gendarmi. L’Osce, Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, monitorerà il voto con 18 osservatori.
Le precedenti consultazioni. L’Akp, partito della giustizia e dello sviluppo del Presidente Erdogan, è stato fondato nel 2001, prima di vincere le elezioni nel 2002, 2007 e 2011, ottenendo sempre la maggioranza assoluta di 550 seggi dell’unica camera del Parlamento turco. Lo scorso 7 giugno l’Akp non ha ottenuto la maggioranza di 276 seggi, rimanendo lontanissimo dall’obiettivo dichiarato d 330 seggi, necessari per cambiare la costituzione e realizzare il progetto presidenzialista di Erdogan, che vuole dare al presidente della repubblica poteri esecutivi. Il 9 luglio lo stesso presidente ha conferito al premier Davutoglu l’incarico esplorativo, con la costituzione che fissa un termine di 45 giorni per la formazione di un governo che ottenga la fiducia del parlamento. Con il naufragio delle trattative si è reso necessario fissare una nuova data per le elezioni.
LA REPUBBLICA