
Da oltre due anni, in entrambi i suoi esecutivi, Giuseppe Conte ha tenuto per sé la delega alla gestione e al coordinamento dei servizi segreti, facendo della direzione dell’intelligence un nodo cruciale della sua campagna per costruire una base di potere negli apparati romani.
Questa tendenza è accelerata dalla nascita del governo giallorosso in avanti, per un’ampia gamma di questioni. In primo luogo, complici le attenzioni dell’amministrazione Trump per Roma sia sul fronte del contenimento della Cina nei settori più delicati (5G in primis) sia per le indagini legati alle inchieste connesse al Russiagate, che per alcuni investigatori Usa punterebbero direttamente sull’Italia, Conte ha voluto fare del coordinamento dell’intelligence un perno delle relazioni politiche con l’alleato di oltre Atlantico e, in particolare, con la figura del presidente Trump, suo maggiore sponsor sul piano internazionale.
In secondo luogo, Conte ha voluto fare dell’uso strategico delle nomine ai vertici dell’intelligence un perno della sua strategia che lo ha portato a più riprese a mediare tra Pd e Movimento Cinque Stelle proprio sulla scelta delle pedine più strategiche dell’amministrazione pubblica e delle partecipate, accentrando sulla sua persona il potere di ultima parola.
Infine, non si può negare il ruolo operativo che l’intelligence gioca nell’era della globalizzazione come centrale di definizione delle linee guida di politica estera e come riserva di valore strategica per il decisore politico. Gli osservatori più attenti ricorderanno, ad esempio, lo stretto coordinamento operato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta con i servizi di sicurezza durante i governi Berlusconi, l’attenzione con cui il governo di centrosinistra e il centrodestra concordarono nel 2007 la riforma bipartisan dell’intelligence con la Legge 124 approvata il 3 agosto di quell’anno, il ruolo decisivo giocato dal coordinamento tra il ministro dell’Interno Marco Minniti (già autorità delegata) e il direttore dell’Aise Alberto Manenti nel monitorare la situazione libica e firmare accordi strategici ai tempi del governo Gentiloni.
I servizi segreti sono stati considerati, anche in anni di forte contrapposizione politica, patrimonio bipartisan delle istituzioni e in questo contesto molto ha giocato il ruolo di vigilanza del comitato delegato alla supervisione sull’attività dell’intelligence, il Copasir, per statuo presieduto da un esponente dell’opposizione parlamentare. Ebbene, più volte Conte, uomo poco avvezzo ai tradizionali equilibri e ai giochi istituzionali, ha voluto imporre sull’intelligence una linea personale, che sul lungo periodo è stata percepita da alleati e avversari come eccessivamente destabilizzante.
In estate avevamo assistito alla fronda pentastellata in Parlamento contro la norma che blindava sia il direttore generale del Dis e fedelissimo di Conte, Gennaro Vecchione, che i vertici delle altre due agenzie, occupati da Mario Parente (Aisi) e Gianni Caravelli (Aise), la cui possibilità di un rinnovo prolungato era inserita tramite clausola contenuta nel decreto di proroga dello stato d’emergenza. Più recentemente, abbiamo assistito al tentativo di Conte di creare un Istituto italiano di cybersicurezza (Iic) dotato di 200 milioni di euro di fondi, parallelo agli apparati militari e civili di sicurezza, tramite apposita voce nella legge di bilancio. Tentativo stoppato dal Partito Democratico dopo la furente reazione del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, contestato da Italia Viva (che mira alla poltrona di autorità delegata all’intelligence mai assegnata da Conte) e che ha creato malumori in casa Cinque Stelle.
Conte ha alla fine dovuto far dietrofront per non ostacolare il processo di rinnovo ai vertici del Dis del prefetto Vecchione. Salvo poi scrivere una lettera al Copasir, guidato dal leghista Raffaele Volpi, per perorare la nascita dell’Iic, che si prevedeva subordinato all’autorità del Dis e, tramite esso, di Palazzo Chigi. La risposta è stata negativa, secondo quanto fatto trapelare da Formiche: “Obiezioni di metodo: l’Iic, sostengono i più critici, di fatto apre a una revisione della legge 124 sul comparto, che deve essere modificata in altre sedi, con un percorso parlamentare. Ma anche di merito. Non convince il Movimento Cinque Stelle la struttura semi-privatistica della fondazione”. E i più critici di Conte sarebbero stati proprio gli esponenti di Pd e M5S in seno al comitato di Palazzo San Macuto.
I (goffi) giochi di spionaggio di Giuseppe Conte, nel contesto di una lotta per il potere interna al governo che vede il premier sempre più ridimensionato, hanno stancato gli stessi membri della maggioranza. Con l’intelligence non si può scherzare rendendola terreno di caccia per nomine partigiane: e frenando il premier gli esponenti della maggioranza più attenti a questi delicati assetti istituzionali, tra cui non si fatica a vedere il volto di Guerini, hanno sicuramente mostrato un tatto istituzionale che manca a un premier totalmente estraneo ai tempi e ai modi della politica.
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