Tutti pazzi per Freud, il lettino conquista il teatro

Era il 1895 quando Freud mise per iscritto la sua prima interpretazione di un sogno. Un anno più tardi avrebbe usato per la prima volta in un articolo la parola che avrebbe dato la svolta definitiva all’indagine dell’inconscio: “psicanalisi”.
    Un secolo e un paio di decenni più tardi sedersi sul “lettino” non è più un tabù e anzi sedute e incontri sono strumento talmente diffuso da conquistare anche il racconto popolare, dal successo di serie tv come In treatment, venduta e riadattata in tutto il mondo, o il recente The patient con Steve Carell psichiatra, al cinema con, uno per tutti, Anthony Hopkins che sarà proprio Sigmund Freud nel prossimo film di Matthew Brown, Freud’s Last Session.
    Non è da meno il teatro, che nella seconda metà di stagione vedrà il tema prepotentemente protagonista sui palcoscenici italiani. A partire da Stefano Massini, che cinque anni dopo una prima versione realizzata per il Piccolo di Milano, riprende in mano il suo ultradecennale lavoro su L’interpretazione dei sogni di Freud (cui ha dedicato anche il romanzo L’interpretatore di sogni, ed. Mondadori). Quello scritto, spiega, è “una Bibbia della nostra contemporaneità: il racconto dell’uomo che decide di fare chiarezza guardandosi dentro”. Massini da lì riparte, questa volta in prima persona, ripercorrendo fra le note di Enrico Fink un impressionante catalogo di personaggi e sogni, in cui, forse, riconoscerci tutti (a gennaio a Bolzano, Rovereto, Bologna).
    Per festeggiare i cinquant’anni del Teatro delle Moline, a febbraio torna invece in scena, all’Arena del Sole di Bologna, Freud e il caso di Dora, primo degli spettacoli che Luigi Gozzi ricavò dai casi clinici del padre della psicanalisi (in questo in particolare diagnosticò l’isteria e approfondì il fenomeno del transfert). Quando Gozzi lo portò in scena fu una scommessa: trattare il racconto di un’analisi come un copione drammaturgico, il sintomo come gesto d’attore. Oggi lo spettacolo rivive nella sua forma originale a cura dell’artista e compagna di vita di Gozzi, Marinella Manicardi, interpretato da Stefano Moretti e Alma Poli.
    Lucia Calamaro ha invece scritto (e diretto) proprio per Isabella Ragonese Da Lontano – Chiusa nel rimpianto, immaginandola come una bambina ormai adulta, che per anni ha assistito impotente ai drammi dei suoi genitori. Diventata terapeuta, la donna tenta quello che non poteva allora: aiutare la madre (in tournée da febbraio e a marzo tra il Nuovo di Napoli e l’India di Roma).
    E poi c’è il ribaltamento, con una domanda che ha del surreale, ma dalla quale in teatro siamo felici di lasciarci sedurre: ma questi sogni di ciascuno di noi, così ricchi di eventi, fatti e personaggi, chi è che li mette in scena? Forse c’è una compagnia teatrale demandata? Forse ognuno possiede la propria, che si agita nel cervello cercando di mettere assieme quel che serve per l’attività onirica notturna? È La Compagnia del sonno, atto unico diretto da Armando Pugliese con Nando Paone protagonista, in cui Roberto Alajmo immagina “un piccolo manipolo di guitti, ciascuno dei quali risponde a un ruolo classico: il capocomico, la prima donna, le giovani promesse”. Vivono e lavorano in un teatro dismesso, pirandelliano palcoscenico del nostro inconscio, mettendo in scena i nostri sogni, perennemente alle prese con problemi di budget e rivendicazioni salariali, carenze d’organico e risorse che non bastano mai. Soprattutto, colpa della modernità o dello stress, con un repertorio banalmente ripetitivo. Mai un incubo veramente originale, mai un sogno erotico che risulti davvero eccitante. Forse, però, una speranza c’è: l’arrivo di Scalogno, vecchia gloria dell’arte registico-onirica, che ora dirigerà la Compagnia (ad aprile al San Ferdinando di Napoli).


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