Ucraina: ‘Tre mesi senza luce’, residenti di Odessa invitati a partire

Per riparare il sistema elettrico danneggiato dai droni lanciati dall’esercito russo la notte scorsa su Odessa e la regione potrebbero volerci fino a due o tre mesi: “Se si ha l’opportunità di lasciare temporaneamente la città e le zone rimaste senza corrente, allora vale la pena farlo”: è il messaggio ai residenti lanciato dal Dipartimento dei sistemi energetici della regione di Odessa dopo la comunicazione dell’operatore elettrico statale Dtek che ha avvertito dei tempi lunghi per il ripristino della corrente. Lo riportano i media ucraini.”Odessa e quasi l’intera regione rimangono senza elettricità”, ha affermato Dtek in una nota.

La situazione nella regione di Odessa è molto difficile. Dopo l’attacco russo con droni iraniani, la città e altre località del distretto sono al buio: più di un milione e mezzo di persone nella regione sono senza elettricità. Solo le infrastrutture critiche sono collegate, per quanto è possibile fornire corrente”. Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel suo video messaggio serale commentando la situazione a Odessa dopo l’attacco con droni kamikaze della notte scorsa.

La situazione nella regione di Kherson rimane difficile con bombardamenti russi avvenuti ieri in diversi insediamenti vicino alla linea di contatto. A riferirlo lo Stato maggiore delle forze armate ucraine, citato da Ukrainska Pravda. Secondo le autorità, i russi hanno anche aperto il fuoco contro l’ospedale di Berislav e l’edificio è stato gravemente danneggiato. Secondo le amministrazioni statali regionali, ieri i russi hanno bombardato il territorio di 9 regioni ucraine, diversi residenti sono rimasti feriti e le case e altre strutture sono state distrutte. Oltre a Kherson, i territori colpiti sono Sumy, Zaporizhzhia, Dnepropetrovsk, Kharkiv, Lugansk, Donetsk, Mykolaiv e Odessa.

La Santa Sede può avere un ruolo importante nella mediazione tra Ucraina e Russia ma “questo momento non è arrivato”. Non ci sono dunque le condizioni, in una Ucraina ancora sotto le bombe, per aprire un tavolo di pace e in ogni caso chiunque voglia aiutare questo processo, compreso il Vaticano, “non può essere neutrale”, non può mettere i due Stati sullo stesso piano. Parla senza fare troppi giri di parole il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba accogliendo nel suo ufficio un gruppo di giornalisti internazionali al seguito di una missione organizzata dall’ambasciata ucraina presso la Santa Sede.

E aggiunge: “Non si può insistere sul concetto di fratellanza, non siamo fratelli, questa è la storia di Caino e Abele”. Ma le ultime parole del Papa, e soprattutto la sua commozione l’8 dicembre, “è arrivata dritta al cuore degli ucraini. 

I rapporti tra Kiev e Santa Sede sono continui. E i dossier sui quali è impegnata la Santa Sede sono diversi, dal grano ai prigionieri. Ma chiunque vuole aiutare l’Ucraina “non può essere neutrale”. 

“Il 2 ottobre il Papa ha detto a Putin di fermare la guerra e a Zelensky di essere aperto a proposte”, ha ricordato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, ricordando lo speciale messaggio dell’Angelus di quella domenica. “Questo mettersi da entrambe le parti non è stato d’aiuto. Va bene richiamare Putin, ma se chiedi a Zelensky di essere aperto a proposte di pace, stai dicendo che Zelensky non è aperto alla pace e ha bisogno che qualcuno glielo dica. Questo non è vero. L’Ucraina vuole pace”.

Il governo di Kiev guarda con favore ad un possibile ruolo della Santa Sede in una futura trattativa di pace ma “la triste verità è che non è ancora arrivato il momento per la mediazione e la ragione è il presidente Putin. Se vuoi la pace, non mandi missili ogni settimana per distruggere le nostre infrastrutture, non continui a mandare militari per catturare le nostre città, non annetti territori che sono di altri”.

Nel ritirare il riconoscimento a Oslo, il premio Nobel per la pace russo, presidente della ong Memorial, ha criticato la guerra “folle e criminale” del presidente Vladimir Putin in Ucraina. Sotto Putin, “la resistenza alla Russia si chiama fascismo”, una distorsione diventata “la giustificazione ideologica per la folle e criminale guerra di aggressione contro l’Ucraina”, ha detto Yan Rachinsky nel suo discorso di accettazione del Nobel. E la vincitrice ucraina del premio Nobel per la Pace ha dichiarato che la pace nel suo Paese non può essere raggiunta “deponendo le armi” contro la Russia di Vladimir Putin. “Il popolo ucraino vuole la pace più di chiunque altro al mondo”, ha detto il capo del Centro per le libertà civili (Ccl) Oleksandra Matviychuk alla cerimonia. “Ma la pace per un Paese sotto attacco non può essere raggiunta deponendo le armi. Non sarebbe pace, ma occupazione”.

Sul campo, intanto, Kiev fa sapere di aver abbattuto nella notte dieci droni kamikaze russi nelle regioni di Kherson, Mykolaiv, Odessa, e di aver respinto ieri attacchi vicino a 13 insediamenti. Ieri sera bombe russe nell’est del Paese, con il ferimento di 4 civili: “I russi hanno aperto il fuoco su Nikopol e Marhanets. La città di Nikopol è quella che ha sofferto di più”, informa l’amministrazione militare regionale.

E mentre Mosca accusa l’occidente di voler aprire nel Caucaso un secondo fronte contro la Russia, il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, teme che i combattimenti in Ucraina possano trasformarsi in una guerra tra la Russia e l’Alleanza atlantica: “E’ una guerra che può diventare una grande guerra a pieno titolo tra la Nato e la Russia. Stiamo lavorando ogni giorno per evitarlo”.


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