Ue, referendum? Beccari sia coraggioso (l’editoriale di David Oddone)

Sono sempre stato un europeista convinto, ci tengo a ribadirlo. Poi questa Europa, così com’è, non mi piace. Anzi, trovo alcune decisioni nella politica economica e in quella internazionale dannose e pericolose. Tuttavia mi hanno sempre insegnato che si deve combattere per cambiare quello che non ci piace. E per farlo si deve essere all’interno. Certo, si potrà obiettare che difficilmente la Repubblica di San Marino sarà in grado di incidere concretamente sulle politiche della Ue, piuttosto una volta che sarà completato il processo di associazione, dovrà subirle. In ogni caso, il dado è tratto. Arrivati a questo punto, giusto o sbagliato che sia, non è più possibile tirarsi indietro. E, a questo punto, non ci ha portato solo l’attuale governo, ma anche quelli precedenti. Una precisazione molto importante, perché un domani, quando ci sarà da elogiare o da incolpare chicchessia, non si additi un unico responsabile.

Ma torniamo al presente. Sento tanto parlare di referendum per fare in modo che siano i sammarinesi a decidere del proprio destino.

Voglio rivolgermi direttamente al Segretario Beccari, il quale mi auguro possa avere il tempo di leggere e magari di rifletterci sopra.

La firma dell’accordo con la Ue sarà un momento epocale per l’Antica Repubblica. Sarà riportato nei libri di storia, verrà studiato dai nostri figli a scuola.

Ci vuole coraggio. Fino in fondo. Ci sono momenti in cui bisogna decidere se essere semplici politicanti, o politici, nel senso più “greco” e profondo del termine. Lasciare la parola ai cittadini in tale particolare contesto significa realmente fare gli interessi della “polis”?

Certamente l’esercizio della democrazia è sempre positivo, siamo tutti d’accordo. Ma è altresì vero che alcuni provvedimenti che i governi sono chiamati a prendere, sono assolutamente impopolari.

Il che è facilmente comprensibile. Si pensi ad uno Stato che rischia il default e si trovasse ad aumentare le tasse o a tagliare le pensioni, allungare l’età pensionabile etc. Ebbene nessun cittadino sarebbe mai d’accordo, ma la decisione andrebbe comunque presa. Non a caso sono escluse dal referendum abrogativo le leggi tributarie e di bilancio, fra gli altri.

Ecco perché sull’Europa io penso che la responsabilità della scelta debba ricadere su governo e maggioranza. Vogliamo davvero lasciare il pallino a comitati che si scanneranno fra loro? Vogliamo spaccare il Paese, mettere gli uni contro gli altri? Perché alla fine gli unici veri vincitori saranno i populisti. Già sento, comunque dovesse andare il referendum, quelle voci: “Te lo avevo detto che si doveva votare sì” e l’esatto opposto.

E se poi vincessero i no? Che cosa racconteremmo ai nostri partner? Che abbiamo scherzato?

Parliamo di una materia non facilmente comprensibile, dove il confronto potrebbe scontrarsi con la becera demagogia. Un terreno pericolosissimo e scivoloso, dal quale potrebbe sfociare qualsiasi risultato.

Restituiremmo, infine, una Repubblica divisa e arrabbiata. No. Beccari e il Congresso di Stato devono fare una scelta, perfino sofferta.

Quella mattina Churchill si era svegliato con una brutta sensazione: “Un dolore quasi fisico, la convinzione inconscia che eravamo stati battuti”. Era il 26 luglio 1945, il giorno in cui venivano resi noti i risultati delle elezioni politiche nel Regno Unito, le prime dopo dieci anni. Il primo ministro era appena tornato dalla conferenza di Potsdam, appositamente interrotta. Molti — Churchill compreso — erano convinti che i sudditi britannici avrebbero premiato la vittoriosa leadership conservatrice durante la seconda guerra mondiale. E invece vinsero i laburisti. La storia racconta che mentre suo marito si stava facendo la barba, la moglie gli disse: “Abbiamo perso”. Ma la risposta di Churchill, entrata nel mito, è un tributo alla libertà e alla democrazia: “No – rispose – abbiamo vinto. Ci siamo battuti per questo: anche per perdere”.

Senza voler scomodare quell’epoca buia, illuminata dalla sconfitta dei nazisti, a volte bisogna essere pronti a perdere, per inseguire un ideale più alto.

Niente referendum allora.

Con le dovute proporzioni, io credo che il Segretario agli Esteri debba portare avanti a spada tratta la sua idea di entrare in Europa, anche a costo di essere attaccato in campagna elettorale, di perdere preferenze o di farne perdere al suo partito.

Questo significa essere statisti. Questo significa amare realmente il proprio Paese.

 

David Oddone

(La Serenissima)