Ultim’ora. Trump minaccia l’Europa: “Senza investimenti, dazi al 35%”

L’equilibrio delicato tra Stati Uniti ed Europa sembra vacillare ancora una volta, e al centro della scena c’è sempre lui: Donald Trump. Il tycoon americano, tornato a influenzare direttamente le dinamiche internazionali, ha rilanciato la minaccia di pesanti dazi commerciali verso l’Unione Europea se il continente non manterrà l’impegno sui 600 miliardi di euro di investimenti promessi. Un avvertimento chiaro, che ha scosso la fragile tregua costruita nei mesi scorsi.

Ce li hanno garantiti per farci quello che vogliamo. È l’unica ragione per cui ho abbassato le tariffe al 15%”, ha dichiarato Trump. E se l’Europa non dovesse rispettare i patti, ha aggiunto, le tariffe potrebbero schizzare fino al 35% su larga parte delle esportazioni, con una stangata ancora più pesante sui farmaci, che potrebbero toccare un’aliquota del 250% già dalla prossima settimana. Le parole del leader americano hanno riacceso immediatamente le tensioni anche su altri settori sensibili come quello dei microchip.

Da Bruxelles, però, la risposta è stata fredda e misurata. La Commissione Europea ha ribadito che il tetto massimo fissato al 15% resta valido per tutti i settori, compresi quelli dei medicinali e dei semiconduttori. Questo limite, ha fatto sapere l’esecutivo Ue, rappresenta una sorta di “polizza assicurativa” e al tempo stesso una linea rossa oltre la quale l’Europa è pronta a reagire. La possibilità di contromisure esiste, anche se al momento sono ufficialmente sospese per sei mesi, in attesa di una decisione condivisa dai ventisette Stati membri che dovrà essere formalizzata entro due settimane.

Sul tavolo dei negoziati si sta intanto delineando un primo testo congiunto tra Bruxelles e Washington. I lavori sono in fase avanzata, con il commissario europeo Maros Sefcovic in costante contatto con i rappresentanti americani Howard Lutnick e Jamieson Greer e rimane aperta la questione su chi, nell’amministrazione Trump, avrà l’ultima parola per approvare gli accordi raggiunti.

Al centro del confronto ci sono gli investimenti, non solo quelli promessi dall’Ue ma anche quelli in campo energetico, che superano complessivamente i mille miliardi di euro. Una cifra enorme, che Bruxelles non può garantire direttamente, trattandosi in gran parte di capitali privati. La dichiarazione Ue-Usa in preparazione, pur priva di valore vincolante e ancora senza una data ufficiale, andrà comunque a delineare i confini della nuova relazione transatlantica e definirà anche le prime esenzioni al tetto del 15%. Tra i primi a beneficiarne potrebbe essere il settore automobilistico: per concretizzare la riduzione dei dazi dal 27,5% al 15%, servirà un nuovo ordine esecutivo da parte americana, distinto da quello già firmato lo scorso 31 luglio ed entrato in vigore il 7 agosto.

La Commissione europea continua intanto a difendere il negoziato, pur riconoscendo la complessità della partita. “Non pretendiamo di aver chiuso tutte le partite”, ha dichiarato un alto funzionario Ue, “ma abbiamo costruito una base solida. Serviva mettersi in una posizione di relativa forza e stabilità”.

Bruxelles si dice anche pronta a combattere settore per settore, prodotto per prodotto, nella speranza di ottenere esenzioni dai dazi o, almeno, di godere del trattamento della nazione più favorita, che corrisponde a una tariffa del 4,8%. I primi beneficiari di questa apertura saranno gli aerei e i loro componenti, già inclusi nel testo congiunto. Per gli altri settori, dal vino ai dispositivi medici, fino ai prodotti chimici e ai liquori, il negoziato richiederà ancora tempo, probabilmente mesi.

Nel frattempo, altri Paesi osservano con preoccupazione l’evoluzione della situazione. La Svizzera, ad esempio, ha inviato d’urgenza il presidente e il ministro dell’Economia a Washington per cercare di scongiurare dazi shock fino al 39% che potrebbero colpire duramente anche l’industria farmaceutica. L’India, dal canto suo, è finita nel mirino per i rapporti energetici ambigui con Mosca e rischia sanzioni superiori al 25%.

Neanche le tensioni interne all’Europa sembrano del tutto sopite. Nonostante Bruxelles assicuri che i ventisette siano stati coinvolti costantemente, non sono mancate critiche. In particolare, quelle del ministro tedesco Lars Klingbeil, pronunciate proprio dagli Stati Uniti, hanno fatto discutere. La Commissione ha replicato seccamente, ricordando che anche Berlino ha appoggiato la linea del negoziato, considerata l’unica via percorribile per garantire stabilità e tutelare gli interessi comuni europei.

Insomma, la partita è ancora aperta. Ma le regole del gioco le detta, ancora una volta, Donald Trump. E l’Europa, suo malgrado, deve ballare al ritmo della sua musica.