Il numero è 1.881, e la data è quella del 16 aprile scorso. In Senato è stata appena depositato e stampato un disegno di legge per istituire una commissione parlamentare di inchiesta sulla corruzione, gli appalti pubblici e la collusione della politica. La prima firma è quella di Marco Filippi, la seconda quella di Luigi Zanda, e dietro via via quasi tutto il gruppo del Partito democratico. Nomi noti, come quello di Felice Casson, o del vicepresidente dell’assemblea Valeria Fedeli, e ancoraVannino Chiti, Corradino Mineo e tanti altri. Fra loro la sorpresa di cinque senatori che risultano tutt’oggi ancora sotto indagine della procura, per quella rimborsopoli che ha devastato gran parte delle Regioni italiane. Anche per questo motivo più che una commissione di inchiesta quella struttura rischia di trasformarsi in una seduta di autocoscienza, una sorta di confessionale del Nazareno. Perchè da qualche tempo a questa parte – anche grazie ai molti posti di potere conquistati – il Pd è diventato un beniamino delle procure della Repubblica italiane. Per una serie di ipotesi di reato anche impressionanti i più birbanti (sempre presunti) della squadra di Matteo Renzi sono incappati in più di un guaio giudiziario. Fosse stato quel 1992 appena ripercorso in tv da una fiction di successo, quel partito sarebbe stato fatto a brandelli da un’opinione pubblica assai sensibile. Oggi dai vertici all’ultimo degli uscieri si dà forse meno importanza ai guai giudiziari, e un po’ di garantismo ha iniziato ad albergare perfino fra i nipotini del Pd. Soprattutto quando si tratta di auto-assolversi. Ma solo negli ultimi dodici mesi le cronache giudiziarie hanno narrato di più di un esponente di alto grado del Pd alla settimana il cui nome è finito nel registro degli indagati delle varie procure.
Una settantina di alti dirigenti, fra cui decine di consiglieri regionali, 7 deputati, 6 senatori, sottosegretari dell’attuale governo, candidati presidenti di Regione, segretari regionali e provinciali del partito. Dalla Valle D’Aosta alla Sicilia, come accade a un partito della Nazione che si rispetti. Per reati anche gravi. I più gettonati sono peculato, falso e truffa, visto che si tratta dei reati più comuni nelle inchieste sui rimborsi ai gruppi consiliari delle varie Regioni italiane. Ma ci sono anche corruzione e turbativa d’asta, che hanno portato perfino in carcere alcuni sindaci del Pd. Poi nel ventaglio davvero di tutto: corruzione, concussione, abuso di ufficio, appropriazione indebita, evasione fiscale, false comunicazioni sociali, associazione di stampo mafioso, bancarotta fraudolenta, truffa fino all’omicidio e disastro colposo che figurano fra i capi di imputazione con cui è stata iscritta nel registro degli indagati della procura di GenovaRaffaella Paita, ex assessore e ora candidata del Pd alla guida della Regione Liguria. Un deputato è stato arrestato (Francantonio Genovese) grazie alla autorizzazione a procedere concessa, ed è finito in carcere già due volte con più capi di accusa in un’inchiesta che riguardava i fondi per i corsi di formazione in Sicilia. Sono stati arrestati anche il sindaco di Gioia del Colle, quello di Ischia (inchiesta dove è emerso il vino-gate di Massimo D’Alema), un consigliere comunale del partito a Potenza, un dirigente dell’assemblea regionale del Pd campano e altri personaggi minori.
Ci sono parlamentari del Pd in questo momento testimoni ed eventuali parte lesa di una delicata inchiesta segretata dalla procura di Bologna sull’appropriazione indebita che avrebbe fatto un loro collaboratore e dirigente del partito, tramite misteriosi prelievi effettuati sui loro conti correnti bancari. Ci sono politici indagati e puntualmente ricandidati dal Pd di Renzi e diventati nuovamente consiglieri regionali nonostante l’accusa di avere fatto la cresta sui rimborsi spesa (Emilia Romagna). Ci sono indagati che corrono per le prossime elezioni, come la citata Paita, il candidato presidente alla Regione Campania, Vincenzo De Luca, il candidato sindaco di Giugliano, Antonio Poziello. Sempre in Campania sono finiti in guai seri il sindaco Pd di Ercolano, il suo vicesindaco dello stesso partito e altri consiglieri comunali.
La rimborsopoli ha colpito a qualsiasi livello: decimati i Pd di Regioni come Emilia Romagna, Piemonte, Lazio, Valle d’Aosta e Marche dove se il bilancio non è più pesante per il partito di Renzi è solo perché molti eletti coinvolti sono usciti dal partito ricandidandosi in una lista civica guidata dal governatore uscente Gian Mario Spacca (indagato anche lui e molti suoi per reati compiuti prima dello strappo con il partito). L’ultima piccola storia arriva da Torino, dove c’è stata addirittura una pioggia di avvisi di garanzia sul Pd per i gettoni presi partecipando a giunte delle circoscrizioni a cui non sarebbero mai andati. Cifre piccole quelle contestate, 600 euro al mese. Ma nella rete della procura è caduta anche un vero pescione: Paola Bragantini, ex presidente di Circoscrizione e nel frattempo diventata deputato del Pd. Per non farsi mancare nulla ci sono pure reati non legati all’attività politica vera e propria. Il destino diRenato Soru, ex presidente della Sardegna e attuale segretario regionale Pd, sarà deciso il prossimo 28 maggio: è accusato come imprenditore di false comunicazioni sociali ed evasione fiscale. Anche il Pd ha il suo Silvio Berlusconi…
di Franco Bechis