
Ita, automotive, Ilva, Lukoil, Tim, energia. Sono i più importanti dossier lasciati in sospeso dai precedenti governi e ora sul tavolo del Ministero delle Imprese e Made in Italy. Dalla manovra ai fondi del Pnrr, il ministro Urso ha le idee chiare sulla strategia da affrontare.
Ministero del Made in Italy vuol dire ministero delle nazionalizzazioni?
«No, abbiamo una visione concreta della realtà, non ci muove l’ideologia ma l’interesse nazionale. E i dossier che lei cita lo dimostrano, in alcuni accelereremo la privatizzazione, in altri riaffermeremo il ruolo dello Stato. Il nostro sarà il Ministero dell’Italia, cioè dell’impresa italiana. Ma siamo ben consapevoli che dobbiamo favorire la crescita di campioni europei, anche a leadership italiana. Per questo ci vuole uno Stato stratega non uno Stato interventista. Lo Stato definisce le strategie e indica la strada su cui poi le imprese liberamente circolano, spero nella stessa direzione e alla velocità dei tempi moderni».
Per Ita ha parlato di partnership significa che comunque lo Stato ci sarà?
«Significa che serve un partner industriale rilevante con un progetto di sviluppo degli hub italiani. Ita non sarà mai più una compagnia di Stato ma vorremmo che tornasse ad essere una compagnia di bandiera, cioè al servizio degli italiani e dei turisti che sempre più desiderano venire nel nostro straordinario Paese».
Lei ha detto che non possiamo diventare dipendenti dalle batterie cinesi, come possiamo evitarlo?
«Penso agli oltre 4 miliardi stanziati per i semiconduttori nel periodo 2022-2030, o agli oltre 350 milioni che destineremo da subito agli investimenti in rinnovabili e batterie previsti dal Pnrr. Anche la Commissione sta facendo la sua parte per rafforzare il sistema industriale europeo con i cosiddetti Ipcei (Important Project of Common European Interest). Batterie, chip, semiconduttori: serve l’autonomia strategica europea nel digitale. Possiamo farcela. Dobbiamo fare sistema».
Fra 4 mesi Acciaierie d’Italia avrà finalmente realizzato tutte le prescrizioni ambientali, ma anziché aumentare la produzione diminuisce. Si riuscirà a tenere accesi gli altoforni che lei ha sempre difeso?
«Dobbiamo invertire subito il declino produttivo di Ilva. Oggi produce appena 3 milioni di tonnellate a fronte dei 6 concordati, con l’obiettivo di tornare ad 8. Le risorse stanziate devono essere impegnate a questo fine, stiamo valutando anche se siano necessari ulteriori interventi legislativi per facilitare riconversione e investimenti».
Il piano a idrogeno presentato da Bernabè necessita di 5 miliardi solo per gli impianti e di fonti energetiche costosissime che non ci sono, e consumerebbero il 2% del fabbisogno italiano. Mentre Ilva non si mantiene neppure ora che va a carbone. Che intende per riconversione?
«Si tratta di un obiettivo di lungo termine: impatto climatico zero entro il 2050, con obiettivi comunque molto sfidanti già dal 2030. A oggi l’alimentazione dello stabilimento interamente a idrogeno verde non sarebbe tecnicamente ed economicamente possibile. Occorre tuttavia avviare da subito gli investimenti e l’Italia, con il Pnrr, ha destinato 2 miliardi di euro per l’introduzione e l’utilizzo dell’idrogeno nei settori cosiddetti “hard to abate”. La completa elettrificazione di Taranto dovrà avvenire entro il 2032: è un programma ambizioso e complesso per quello che ancora oggi è il più grande stabilimento siderurgico in Europa. È tuttavia un programma necessario e l’unico modo per rispettarlo è rafforzare la governance pubblica dello stabilimento».
Un Cdm straordinario per Ischia. Cosa avete deciso?
«Lo stato di emergenza con un primo stanziamento di 2 milioni di euro cui si aggiungeranno altre risorse dopo aver fatto una ricognizione precisa dei danni. Nel contempo abbiamo attivato le procedure per la definitiva approvazione del piano nazionale per il cambiamento, avviato addirittura nel 2016. Sono passati 6 anni! Lo vareremo entro un mese. Basta ritardi».
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