Un porto italiano è “in guerra” e ora scatta la sfida mondiale

Negli ultimi mesi la partita per lo sviluppo dei porti italiani si è fatta nuovamente rovente. E se nelle ultime settimane a tenere banco è stata la questione di Trieste, interessata dall’investimento massiccio della società amburghese Hhna che ne ha avviato un nuovo collocamento “asburgico” rivolto alla Germania e all’Europa centrale, non va sottovalutato il ruolo strategico e geopolitico di Taranto. Su cui da tempo si è acceso il faro delle due maggiori potenze internazionali, Cina e Stati Uniti, è aumentato l’interesse da parte del governo italiano e sta guardando con attenzione anche il più importante comitato securitario del Parlamento italiano, il Copasir.

Taranto è infatti interessata dalle manovre della Marina Militare per l’ingrandimento della base militare sita nello scalo pugliese, che col contributo di 600 milioni forniti dagli Stati Uniti diventerà un perno chiave delle Standing Naval Forces schierate sul fronte sud della Nato; al contempo, è oggetto dell’interesse di Pechino, che dopo aver subito una battuta d’arresto a Trieste sta rilanciando la strategia dei porti mediterranei da inquadrare nella sua Nuova via della seta, con i conseguenti rilievi di ordine commerciale e geopolitico. In primavera ha fatto parlare di sè l’insediamento produttivo di Ferretti Group, leader mondiale nella cantieristica da diporto, nella zona “ex Yard Belleli”, e da tempo il terminal container è sotto il controllo della turca Yilport. Ma cosa collega e due aziende? Le partecipazioni o i legami con la Cina, che gli Stati Uniti indicano come potenzialmente pericolosi.

Come nota StartMag, infatti, “Ferretti Group è controllato per l’85% dai cinesi di Weichai Group”, mentre Yilport è stata attentamente radiografata dai servizi esteri italiani, operanti nel quadro dell’Aise, per capire con che alleanze la società turca intendesse realizzare i suoi progetti di raddoppio del volume di teu (unità di misura del trasporto marittimo pari a 38 metri cubi di merci) passanti per lo scalo pugliese, da 2 a 4 milioni l’anno. Ebbene, l’Aise ha rilevato che “Yilport Holding è socia dei cinesi di Cosco, Sinosteel e Cmec”. In questo contesto gli interessi in campo sono divergenti: si va dall’obiettivo cinese di ampliare il raggio d’azione della Belt and Road Initiative ai noti allarmi americani, funzionali a realizzare una strategia che ha nell’abbattimento della proiezione geoeconomica di Pechino la meta, circa le implicazioni securitarie di una crescente presenza di Pechino. Ma si passa anche per le discussioni sul futuro di una città ferita dal lungo stallo sull’Ilva e che nella portualità può trovare la chiave di volta per rinascere.

La giunta regionale pugliese del confermato Michele Emiliano ha in passato espresso felicità per l’aumento delle attività di Ferretti a Taranto e sul versante più grande economico-internazionale il governo giallorosso non ha mai messo in campo alcuna presa di posizione ufficiale circa la nuova presenza nello scalo della Magna Grecia di società legate alla Cina. E con il calo dell’attività dell’Ilva le aziende finite nel mirino degli apparati atlantici o filo-atlantici sono diventate vitali per la città, come fa notare “Affari Italiani”: “Col ridimensionamento del traffico generato dal’ex-Ilva (in caduta al di sotto del 40%) l’incidenza di quello generato dai flussi gestiti da Yilport è destinato a salire fino al 30-35%, nel contempo il Gruppo Ferretti intenderebbe concentrare la sua attività sulla costruzione di scafi e sovrastrutture in vetroresina e carbonio, ma anche sulla nascita di un centro di ricerca, focalizzato sulla realizzazione di modelli e stampi”, mentre gli oltre 700 milioni di euro di investimenti che il governo intende garantire una crescita sostenuta a infrastrutture, ospedali, università, riqualificazione urbana.

Taranto torna strategica e risulta valorizzata, e all’Italia spetta il compito di spiegare agli alleati atlantici come non necessariamente i rilievi securitari sulle possibili infiltrazioni cinesi siano da seguire fino in fondo quando si tratta di investimenti funzionali a riportare ai fasti di un tempo una città ferita e non di scalate ostili contro “gioielli di famiglia”. Risulta inoltre fondamentale notare come la strategia di rilancio di Taranto come hub commerciale stia seguendo direttrici diverse da quelle di valorizzazione degli impianti militari e, anzi, per ridare a Taranto il destino che si merita sarà necessario saperle far procedere il più possibile in maniera complementare. La vera questione di sicurezza nazionale, su Taranto, è salvare la città e creare un ecosistema credibile in cui, in un secondo momento, anche la questione del futuro dell’ex Ilva possa essere inserita virtuosamente, garantendo un porto efficiente e ben inserito nei traffici globali alla capitale dell’acciaio italiano.


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