Tra le onde impietose di Lampedusa, con il rischio di farli affogare. Dopo averli salvati a largo della Libia. L’unico modo, il più insicuro, per raggiungere l’isola. Per raggiungere l’Italia, la porta d’Europa. La terra promessa. È così che i migranti, forse su suggerimento dell’equipaggio della ONG, hanno trovato riparo. Un porto sicuro, che aspettavano ormai da 19 giorni. “Non riusciamo più a contenere la disperazione. Non riusciamo più a spiegare. Le parole mancano. Siete dei vigliacchi”. Queste le parole pronunciate da Oscar Camps, fondatore della ONG spagnola, durante l’ammutinamento programmato a bordo della nave. Proprio lui, insieme ad altri due volontari, era a bordo di quel gommone di “rescue team”. Ricerca e soccorso. Un soccorso mancato, almeno questa volta.
Dopo averli recuperati a 800 metri dalla costa italiana li hanno lasciati andare. Senza remore. Senza pensarci due volte. Liberi. Non potevano essere loro a salvarli per la seconda volta. No. A recuperarli dovevano essere le motovedette della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza. L’unico modo per toccare terra. Per poggiare i piedi su suolo italiano. Rimanere sul gommone della ONG non avrebbe risolto il problema. Anzi, sarebbero dovuti tornare a bordo della nave. E i migranti, capito il meccanismo, ne hanno approfittato. Un gesto che ha portato sull’isola di Lampedusa il procuratore Luigi Patronaggio che, dopo una ispezione durata qualche ora a bordo della nave, ha deciso di sequestrare l’imbarcazione e far sbarcare tutti i migranti. E mentre si indaga contro ignoti per omissione e rifiuto di atti d’ufficio, nessuno si preoccupa della condotta scorretta della ONG spagnola che ha giocato sulla pelle dei migranti. Sulla pelle di uomini in cerca di libertà.