Altro che dicembre 2019. Il coronavirus che provoca la temibile Covid-19 potrebbe essersi diffuso nel mondo intero, in silenzio e sottotraccia, molti anni (o addirittura decenni) prima dell’improvviso scoppio della pandemia che ha messo in ginocchio l’umanità.
Questa è la teoria contenuta nel recente studio condotto da alcuni dei migliori “cacciatori di virus” in circolazione, tra cui Kristian Andersen dello Scripps Research Institute della California, Andrew Rambaut dell’Università di Edimburgo, Ian Lipkin della Columbia University di New York, Edward Holmes dell’Università di Sydney e Robert Garry della Tulane University di New Orleans. La ricerca, pubblicata su Nature Medicine, sostiene che il nuovo coronavirus possa aver effettuato il “salto” dall’animale all’uomo (zoonosi) molto prima del suo recente rilevamento nella città cinese di Wuhan.
Una mutazione genetica sui generis
L’indizio principale a conferma di tale ipotesi starebbe nel fatto che il Covid-19 possiede una mutazione unica che non è stata ancora ritrovata all’interno di alcun animale ospite sospettato di essere all’origine del contagio. A detta degli autori dello studio, ciò significherebbe che questa mutazione si è probabilmente verificata nel corso di ripetute infezioni a piccoli cluster tra gli esseri umani.
Il direttore del National Institute of Healt statunitense, Francis Collins, non coinvolto nella ricerca, ha così commentato lo scenario proposto dallo studio: “In seguito a cambiamentievolutivi graduali, nel corso di anni o forse decenni, il virus alla fine ha acquisito la capacità di diffondersi da uomo a uomo e causare malattie gravi, spesso pericolose per la vita”. In altre parole, sottolinea il South China Morning Post, il nuovo coronavirus potrebbe essere passato dagli animali agli esseri umani prima di “imparare” come causare malattie nelle persone.
La (possibile) soluzione all’enigma
Riavvolgiamo il nastro e torniamo in Cina. Nel dicembre 2019 i medici di Wuhan, città epicentro del contagio mondiale, notano un aumento insolito del numero delle persone contagiate da una polmonite misteriosa. I test per l’influenza e per gli altri agenti patogeni risultano negativi. Deve per forza di cose trattarsi di un virus nuovo, pensano i medici.
Un gruppo di ricercatori dell’Istituto di virologia di Wuhan, guidato da Shi Zhengli, isola il ceppo sconosciuto e rintraccia la sua origine in un virus appartenente a un pipistrellotrovato in una grotta situata al confine tra Cina e Myanmar. I due virus condividono oltre il 96% dei loro geni, ma il virus dell’animale non è in grado di infettare l’uomo. Il motivo risiede nell’assenza di una particolare proteina che gli avrebbe permesso di legarsi ai ricettori delle cellule umane.
Qualche settimana più tardi, mentre in Cina l’epidemia avanza e miete vittime, due team di Guangzhou e Hong Kong rintracciano la proteina mancante all’interno dei pangolini malesi. Scatta la scintilla: che si avvenuta la ricombinazione dei genomi tra il virus del pipistrello e del pangolino? Il problema è che il nuovo coronavirus ha una mutazione genetica diversa rispetto ai coronavirus trovati nei pipistrelli e nei pangolini.
Da qui la spiegazione dell’ultima ricerca: “È possibile che un progenitore di Covid-19 sia saltato nell’uomo, acquisendo gradualmente le attuali caratteristiche genomiche. Questo adattamento potrebbe essere avvenuto in seguito a una trasmissione da uomo a uomo non rilevata. Una volta acquisite le caratteristiche, il virus avrebbe spiccato il volo”. Se così fosse, tutte le teorie sulle origini geografiche e cronologiche del Covid-19 evaporerebbero come neve al sole. Il Giornale.it