«Sono 16 anni che lottiamo. Finora avevamo presentato al Governo due Pdl e numerose Istanze di Arengo, ma essendo una posizione scomoda ed impopolare, la nostra voce è caduta inascoltata. Così il referendum è stata l’ultima ratio, come più alto strumento di democrazia diretta che lo Stato ci permette».
L’hanno riconosciuto, i promotori del Referendum, «una posizione scomoda ed impopolare», che si vuole imporre (e sono ben 16 anni che lo tentano) a un popolo attraverso uno strumento depotenziato, visto che un Referendum senza quorum è soggetto ad essere poco rappresentativo.
Ed è anche un peccato che non si riesca a ragionare sul fatto che l’aborto è la soppressione di un essere umano (questo in buon italiano e anche in sammarinese significa omicidio) prima che essere un diritto della donna.
«Rendere legale l’interruzione di gravidanza (entro le 12 settimane e anche oltre, in caso di pericolo di vita per la donna o per gravi malformazioni del feto) non significherà mai nel modo più assoluto usarla come forma di contraccezione»: la profezia delle veggenti di San Marino nega, purtroppo l’evidenza. E poi perché non potrebbe essere usato, l’aborto, come forma di contraccezione? L’hanno deciso loro? Ma se è un nostro diritto, come possono darci le regole su come esercitarlo? E nel caso lo si usi come contraccettivo, introdurranno pene detentive o pecuniarie? Abbiano l’onestà di dire le cose come stanno e non mascherarsi dietro a frasi ambigue. E poi? Hanno dimenticato il «grave rischio per la salute fisica… della donna»?
“Si vuole uccidere un essere vivente, attrezzato per nascere, cioè un bimbo che non dà il consenso per essere soppresso e gettato nella spazzatura”: è un laico che parla, Vittorio Feltri, non un fervente cattolico, perché basta essere coerenti con la propria ragione per capire l’entità del gesto, l’aborto, che si vuol far diventare diritto insindacabile delle donne.
Le quali donne, se vogliono essere conseguenti alle giuste e condivisibili attenzioni rivolte in questi tempi alle donne afghane e ai loro figli (abbiamo tutti negli occhi le immagini tragiche di quel popolo oppresso dalla Sharia), ebbene le stesse donne siano coerenti a difendere sempre la vita.
La vita umana infatti è tale NON dalla nascita in poi, ma da CONCEPIMENTO in poi. Non basta chiedere di salvare vite umane lontano da noi, se poi vogliamo sopprimere vite umane presso di noi!
Qualche tempo fa abbiamo letto questa considerazione: «Come ho avuto modo di parlare con le signore del comitato [pro aborto], la discussione deve essere incentrata sull’ipocrisia. San Marino è ipocrita nel negare che le nostre donne abortiscono da decenni in Italia. Vogliamo fare come lo struzzo o riconoscere questo?
Se entriamo nel pentolone embrione sì o no, non ne usciamo.» Sono queste le linee guida di chi vuole cambiare il linguaggio per imporre una visione unilaterale. Noi invece vogliamo entrare «nel pentolone embrione sì o no», perché ci teniamo alla verità della vita, perché siamo realisti, e perché non smetteremo mai di pensare che la vita del concepito, comunque la si chiami, ha un valore infinito di cui nessun uomo può liberamente disporre.
Inoltre poi riteniamo che se si facesse una stima realistica degli aborti delle sammarinesi in Italia, si troverebbero dati in proporzione certamente inferiori rispetto a quanto accade per le donne italiane. Ma proprio dalla esperienza italiana sappiamo che i dati gonfiati a sproposito hanno convinto gli indecisi a votare a favore dell’aborto. È la solita vecchia tecnica della menzogna come quella dei cosiddetti casi pietosi.
Come ricorda un amico che ha studiato i dati degli aborti in San Marino: «Alcuni sostengono che legalizzando l’aborto a San Marino si avrebbe una emersione del fenomeno dal quale si metterebbero in atto sostegni alle maternità difficili.
Si diceva lo stesso in Italia negli anni ’70 per convincere gli italiani a legalizzare l’aborto. Purtroppo in 43 anni non è stato così. Tutte le numerose proposte volte a dare un aiuto specifico alle gestanti in difficoltà, come peraltro chiaramente richiesto dagli artt. 2 e 5 della legge 194/78 sono sempre state cassate (a parte qualche iniziativa locale) con l’accusa di influire sull’autodeterminazione delle donne.
In pratica, come anche indicato dalle linee guida della regione Emilia Romagna, la gestante che si reca al consultorio in alcun modo non deve essere condizionata nella sua richiesta. Se chiede di abortire le va garantita la prestazione nel più breve tempo possibile. Non importa quali fattori l’abbiano portata a tale richiesta.»
Don Gabriele Mangiarotti