“Il 15 dicembre terrò con i miei figli un’importante conferenza stampa a New York, per discutere il fatto che abbandonerò del tutto la mia grande azienda, in modo da concentrarmi sul governo del paese, e RIFARE L’AMERICA GRANDE! Anche se la legge non mi obbliga a farlo, lo considero visivamente importante come presidente non avere un conflitto d’interessi coi miei vari affari. Pertanto sono in corso di preparazione i documenti legali che mi escluderanno dalle operazioni aziendali. La presidenza è un compito ben più importante!”.
Con questo comunicato Donald Trump stamattina ha finalmente affrontato “l’elefante nella stanza”, il conflitto d’interessi tra il mestiere di immobiliarista e l’incarico di presidente degli Stati Uniti che lo attende a partire dall’Inauguration Day del 20 gennaio. Dunque il 15 dicembre spiegherà come taglierà tutti i suoi legami con la sua azienda… lasciandola però nelle mani dei figli, con cui si vede ogni giorno.
A giudicare dalle apparenze dell’annuncio, privo di dettagli, questo è un rimedio ben al di sotto del “blind trust”. E’ comunque un tentativo di affrontare il dibattito che sta crescendo sul suo conflitto d’interessi, tamponando le critiche che stavano crescendo anche a destra. Per esempio, il Wall Street Journal era intervenuto con un editoriale della direzione, per intimargli di affrontare la questione. Un esempio di queste ore conferma quanto il presidente-eletto già sia invischiato nei conflitti d’interessi. E’ lo scandalo per la decisione del Bahrain di affittare il suo nuovo hotel di Washington per un ricevimento. Dopo avere criticato Hillary Clinton perché la sua Fondazione accettava doni da governi stranieri, ora Trump alla luce del sole viene pagato da chi domani potrà chiedergli favori.
Molti esperti hanno sottolineato però che la natura particolare del business di Trump non si presta neppure alla soluzione del “blind trust”. Con questo nome si indica la soluzione classica per il conflitto d’interessi, che consiste nel mettere tutto il proprio patrimonio dentro una “scatola”, in gestione ad altri, tagliando ogni comunicazione fra il proprietario e il gestore. Ma mentre questo è perfettamente possibile quando si tratta di un patrimonio investito in titoli, azioni e obbligazioni, ben diverso è il caso dei palazzi, hotel, casinò di Trump: lui sa benissimo quali sono e dove sono, non è concepibile che lui ignori quel che accade a quei beni.
Perciò alcuni esperti hanno indicato che l’unica soluzione sarebbe la vendita. Che però nel caso di un patrimonio immobiliare non può essere istantanea, altrimenti diventerebbe una liquidazione-svendita. Il problema è complesso, ma quel che stupisce l’osservatore straniero è la totale mancanza di leggi per regolare il conflitto d’interessi di un presidente degli Stati Uniti (leggi ce ne sono invece, ancorché molto imperfette, per i parlamentari).
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